In amicizia, come in amore, sono esigente. Non mi accontento del primo che passa, pur di non stare sola. So stare sola. Anche giorni settimane mesi.
In amicizia, come in amore, la nostra possibilità di scelta alla fine non è così illimitata e potente. L’amore accade, così come l’amicizia accade. Intendo dire che nel ventaglio dei possibili ci si imbatte, chissà perché, in alcune persone e non in altre.
La stessa scuola, strada, quartiere, cittadina, i figli che frequentano i medesimi corsi. Molteplici sono i motivi per cui si incontra una persona che è destinata a diventare amica. Le mie amiche le ho trovate studiando, sul posto di lavoro, e al bar che frequento. Alcune di queste le ho perse per strada, altre le ho volutamente lasciate per sempre.
Per sempre perché non sostengo a lungo gelosia e invidia. Accetto, sostengo, scelgo la sostanziale diversità caratteriale tra me e le amiche; accetto che il loro modus vivendi sia sostanzialmente molto diverso dal mio; tollero momenti di assoluta leggerezza e vacuità: ho un’amica che mi parla ore e ore di feste e gossip. Ho imparato, nel tempo, che è bene esercitare molto rispetto verso l’altro e la sua storia. Anche se sepolta da maschere quotidiane. Ho imparato a riconoscere le piccole bugie senza battere ciglio. Ho imparato a tacere, accogliere, godere del tepore di un momento con un’amica.
Negli ultimi anni ho chiuso definitivamente con due amiche. Una è riapparsa per caso in una passeggiata. Era con suo marito che aveva avuto una grave malattia. Abbiamo scambiato poche chiacchiere perché io non ero da sola. Poi, la sera, mi è sembrato cortese mandare un semplice messaggio per augurare salute e serenità: ero stata colpita dallo stato del marito.
L’amica mi ha telefonato subito e ha svuotato tutta la sacca del suo mondo su di me. Ha parlato della sua via crucis. Della miracolose cure che lei e suo marito hanno avuto dalla sciamana di turno… Ho chiesto come stava il figlio, il marito e la sorella. Tutti i parenti stretti. Lei non mi ha chiesto nulla. Nulla di nulla. Erano due anni che non parlavamo. Nulla.
Dopo aver vomitato tutto il suo mondo, lei che frequenta la chiesa con tutte le cerimonie annesse, non ha allungato una mano, non si è sporta un attimo dal suo privato balconcino per sapere come stavo: io e i miei familiari che bene conosceva e frequentava ai tempi della nostra amicizia. Mia madre, per esempio. Non una semplice domanda: Come sta tua madre?
Non c’è niente da fare. Ha rinforzato, con questa egocentrica telefonata, la scelta di troncare. Chiudere. Eliminare. Serrare porte e finestre. Che senso ha?
Dovrei raccontare tutto l’antefatto. Dovrei andare indietro nel tempo e spiegare cosa è accaduto per esempio nelle due vacanze che abbiamo fatto insieme. Perché la prendevano per mia madre ( abbiamo la stessa età ); perché suo marito mi ha detto che sono stupenda. Perché ogni volta che parlavo di affetto, d’amore lei scostava il viso, cambiava discorso. Non ascoltava. Perché quella volta che sono andata a prenderla per una passeggiata e non ero da sola, lei nulla ha chiesto.
Scrive Cicerone:
L’altra opinione è quella che limita l’amicizia a una parità di doveri e di voleri. Questo in realtà è un ridurre troppo meschinamente e grettamente l’amicizia a un semplice calcolo, per modo che il bilancio del dato e del ricevuto sia in pareggio.
Da: L’amicizia
Nessun calcolo quindi, ma neppure solo dare dare dare per ricevere solo sguardi obliqui.
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