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Detesto

Chi non ha ancora assaggiato i miei artigli non sa che sono molte le cose che detesto.

Non c’è tolleranza alcuna per le cose che detesto.

Ho ormai esaurito tutta la pazienza che c’è il corona virus che già tira i nervi e i fili.

Detesto chi mi riempie WhatsApp di immagini tra cui la pregiatissima fotografia culinaria del cibo che ha nel piatto al ristorante

come se io potessi:

A – capire che cos’è quella serie di piccole masse informi gialle

B – sentirne il profumo eventuale in modo da solleticare l’acquolina

C – allungare una mano per prenderne un morso e, finalmente, capire se si tratta di pesce carne o verdura impanata

Che significato ha mandare la foto del cibo che hai nel piatto? Se qualcuno me lo spiega ne sarei grata; anzi no, non voglio neanche saperlo. Perché non ha senso significato e scopo se non riempire la memoria dello smartphone di inutili cose.

Me ne rendo conto quando faccio pulizia. Quante inutili cose.

Occorre fare una raccolta differenziata anche nell’archivio fotografico del cellulare in modo da gettare negli appositi bidoni.

Le foto dei piatti io li metto nel bidone: IDIOZIE

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Graffio

Santo cielo!

Santo cielo liberaci dagli stupidi. Da quelli che non capiscono, liberaci dai deficienti. Liberaci dai bambini dell’asilo – con la barba – a cui anche se spieghi l’ABC proprio non capiscono. Liberaci dai presuntuosi e permalosi. Da quelli che non sanno leggere né scrivere e aspettano i like quotidiani. Da quelli che aprono i blog senza saper usare la punteggiatura e l’ortografia. Santo cielo liberaci da quelli che si permettono di dissertare, e scrivere, di cose che non hanno mai letto né studiato. Santo cielo liberaci dagli ignoranti che si credono sapienti. Amen

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Mondrian

Immagine fotografica di Eletta

Queste regioni, queste zone vuote, come di vetrata, mi ricordano certi alberi di Mondrian. Li ho fatti vedere alla persona che dipingeva davanti a me. Ogni tanto mi piace cinguettare e infastidire chi è concentrato. Tze tze. Svolazzare punzecchiare è divertente, per gente come me. Che ama ridere rovesciando la testa. Non amo gli ingessati, i rigidi che paiono manichini già morti. Aria. Ogni tanto è bene aprire le finestre e far volare farfalle o pezzi di carta. Far volare fuori, anche strappando. Dedico questo premio agli “storti”. Così Germano che ha impersonato Ligabue. Ecco: amo gli storti, gli strani e le storture. Detesto gli schemi rigidi, i binari e gli abiti troppo stretti: ti tolgono il respiro. E il respiro è tutto.

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Test-ardo

Disegno di Eletta

Se hai mal di testa impara ad usare la testa. Test-ardo.

Nella testa c’è il cervello. Serve per ragionare pensare scegliere.

Più giù c’è il cuore: lì c’è la pulsazione del sentimento: apre e chiude l’intelligenza emotiva.

Se hai mal di testa usa la testa e il cuore.

Tutto quello che fai ha ripercussioni. Se non lo hai ancora capito è perché sei stupido.

Dopo non serve piangere sul latte versato. Dopo i cocci non si possono rinsaldare. Dopo ti viene mal di testa.

La tua testa arde perché sei testardo.

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So

Immagine fotografica di Eletta

Una sola cosa so: di non sapere. Eppure oggi so qualcosa che non sapevo fare: porre confini argini muri. Insomma so proteggermi. Dopo le botte e le sconfitte dopo lo stupore e l’azzardo; dopo gli inutili salti nel vuoto sul filo delle passioni.

Si cresce. Si impara. La piccola raffigurata nella piccola fotografia che ho voluto mettere accanto al letto – quelle calzine corte e le braccia aperte con le manine – la piccola non è più piccola. Ha inseguito chimere e sogni. Si è sovente fidata di lupi e agnelli. Ha creduto nella favola d’amore così come l’hanno nutrita e svezzata. Film svenevoli con baci infiniti.

È la vita che ci insegna. A meno di essere stolti.

Ora che, finalmente, sto così bene con me è tempo di segnare con gesso bianco il mio confine sull’ardesia dove poggio i piedi. Più di così non entri. Chè di predatori troppo ne ho avuti.

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Graffio

Formalismi e Bon Ton

Immagine fotografica di L.

Ci sono i formalismi e c’è il Bon Ton. Poi c’è l’educazione.

I formalismi e il Bon Ton si possono buttare nel cestino dei rifiuti, l’educazione no.

Vi è mai capitato di prendere un the – come ospite – con il padrone di casa che, invece di sedersi accanto a voi, sta in piedi impalato con la tazza in mano? A me sì. Ieri. E non aveva fretta.

Dato che non sono certo il tipo che sta zitta se noto che qualcosa stona, gli ho chiesto il motivo. Come mai non si sedeva. Mi ha risposto che preferisce berlo in piedi. Ah.

Nella nostra giornata abbiamo dei riti. C’è il rito della colazione, magari con un buon quotidiano che sa di stampa fresca. C’è il rito del caffè dopo pranzo: io amo bere il caffè rigorosamente seduta. E c’è il rito dell’aperitivo che, normalmente, mancando la compagnia, mi faccio comunque in casa mia da sola praticamente tutte le sere.

E poi c’è il rito del the. Senza arrivare alla cerimonia del the giapponese che è un vero e proprio rituale, senza eguagliare gli inglesi e la loro mania, capita talvolta anche a me italiana di voler gustare una buona tazza di the.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Cha_no_yu

Gustare una bevanda calda con il freddo gelido fuori non è soltanto assumere un caldo ristoro. È anche il piacere della compagnia e di due chiacchiere. Stare in piedi dopo aver offerto una tazza di the all’ospite, lo trovo poco gentile ed educato.

Il messaggio che passa è: Vedi di fare in fretta, non ho nessuna voglia di stare con te. Una incrinatura nell’intimità che può regalare una semplice tazza di the.

Qui non è più questione di formalismo. È questione di cortesia.

Perché mai la cortesia è considerata in Occidente con sospetto? Perché la cortesia viene ritenuta un elemento di distanza ( se non addirittura di fuga ) oppure di ipocrisia? Perché un rapporto “informale” ( come si dice di noi con ingordigia ) è più auspicabile di un legame sottoposto a codici?

Da – L’impero dei segni – Roland Barthes

Oggi avrò ospiti per una torta e un brindisi. Tra gli ospiti ci sarà anche il signore di ieri. Gli chiederò di stare in piedi impalato come ieri. Voglio vedere le facce di tutti.

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Graffio Persone

Panchina

Immagine fotografica di Eletta

Lui andava a cercare la sua ombra sulla panchina. Sono andato alla nostra panchina – così le aveva detto diversi mesi prima.

Lei aveva frugato a lungo nella mente per collegare intuire capire ricordare: avevano dunque avuto una “loro panchina“?

Lui si commuoveva quando vedeva un film che lo toccava emotivamente. Ma era stato educato a essere UOMO. E un uomo non piangeva: ché quello lo facevano le femminucce.

Aveva forzato la porta per entrare. Ma lei era stata svelta e aveva repentinamente chiuso lo spiraglio e girato la chiave.

Cosa fai da mangiare? Questo, ridendo, le aveva chiesto. Come se non fosse successo nulla.

Lui piangeva, lui faceva pellegrinaggi alla loro panchina, lui non poteva proprio capire perché era completamente scemo.

Smontava ogni volta tutti i pezzi del giocattolo e poi diceva: – Giochiamo?

No, non giochiamo. Hai rotto il gioco e il giocattolo. Hai rotto il campo e i confini. Hai rotto tutto. Li vedi i soldatini tutti a terra? Una gamba qui un’altra là. Hai rotto il castello e il cervello.

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Graffio

Cose strane

Nella vita possono capitare cose strane.

Ad ora – di strano – mi è capitato:

Di avere la fidanzata del mio compagno nascosta dietro la pesante tenda di velluto, eravamo entrambe in attesa che lui tornasse dal lavoro

Di osservare nascosta dietro una colonna, insieme a un’amica, come si comportava un altro mio compagno che aspettava un’altra donna ( con cui aveva preso appuntamento per instaurare un’altra relazione ) in una caffetteria centrale della città, il giorno del mio compleanno

Di parlare con la ex compagna di un mio altro compagno dell’amante che avevamo avuto in comune, anche se in tempi successivi

I fatti sono relativi a tre uomini diversi. Sarà che non sono molto fortunata in amore e che, come dice mia madre, li vado a cercare con il lanternino… rimane il fatto che nelle prime due strane situazioni descritte ero io a tenere in mano i fili della regia: io ho architettato la scena della fidanzata dietro la tenda e io ho verificato la serietà del mio compagno facendolo cadere in uno stupido trabocchetto. La figura dello stupido poi l’ha fatta lui.

Nel terzo episodio ancora io ho creato un’accurata regia per svelare e togliere la maschera da santarellina a questa donna ipocrita.

La realtà che lega questi tre episodi è proprio il doppio gioco, la falsità, la menzogna. Persone poco serie. Mancanza totale di eticità.

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Ethos Graffio

Ci sono persone

Ci sono persone tolleranti. Le ammiro. Hanno una pazienza infinita e sorridono sempre.
Non io.

A me scattano velocemente i nervetti. Ci sono comportamenti che trovo veramente inaccettabili. Non riesco né a pazientare né a sorridere.

La cosa che mi fa veramente accendere come un fiammifero è la deficienza, nel senso di mancanza.

Non tollero la mancanza di sensibilità e intelligenza. Non tollero la cafoneria e la baldanza cialtrona. Non tollero chi, sbagliando, continua a giustificare comportamenti ignobili senza mai scusarsi per l’attimo di défaillance.

Non tollero chi non capisce al volo se una persona è stanca morta. Non tollero i cretini.

Vorrei, vi giuro, sorridere e far finta di niente davanti a un imbecille imperterrito. Non riesco. Questione di carattere.

Sarà che la vita è stata generosa con me e ho avuto a che fare – generalmente – con persone intelligenti e dignitose. Dotate di un certo charme o carisma, dotate di un quoziente intellettivo alto, se non sopra la media, spiritose gentili e simpatiche.
Domanda classica: Perché non ci sei stata? Sottointeso: con queste magnifiche persone. Perché la vita è così. Dona e prende.

Adoro in una relazione, che sia amicale o d’amore, capire al volo. Senza spiegare dire. Adoro l’intelligenza veloce. La sensibilità di un’occhiata.

Non sopporto dover spiegare. E poi rispiegare. A chi poi ti guarda con occhio bovino e ancora non ha capito un bel nulla.

Non intendo più perdere tempo con persone che non capiscono al volo. Perché di tempo da perdere non ne ho più.

E voi? Siete tolleranti più di me?


P.s. Oggi ascoltavo un video sull’effetto Pigmalione. Interessante. Ma, come urlerebbe Lucy – amica di Charlie Brown: SE SEI DAVANTI A UN DEFICIENTE CHE CAVOLO DI EFFETTO PUOI AVERE?
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Graffio

Peso

Peso /
ogni parola /
al tuo cospetto /
per paura /
di cader vittima /
del tuo dispetto: /
già mi guardi /
con sospetto. /

Non entrerò più /
nel tuo letto /
odioso insetto. /

Vedi: /
ti ho ferito /
con uno sberleffo. /

Meglio sempre /
delle tracce /
di belletto /
lasciate /
impunemente /
sul tuo candido /
colletto. /

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Graffio

Donne solari



Nel tempo delle donne solari lei usciva con l’ombrello.
Gli omini li macinava polverizzava disintegrava.
La donna gatta le aveva sussurrato che agli uomini fa piacere la dolcezza.
La donna volpe le aveva suggerito che agli uomini piaceva essere serviti a tavola e a letto.

E lei, invece, graffiava. Non lasciava il tempo di replicare che già aveva chiuso la botola con un colpo secco. Il poveretto stava là stordito per giorni.
Nel frattempo le donne solari continuavano i loro servizi lustrando le scarpe del primo titolato che bussava alla loro infiocchettata porta. Avevano fame d’amore e non discriminavano, non differenziavano.

Lei non aveva tempo da perdere con i perditempo.
È che le bastava poco per intuire, non servivano ripetuti test. Uno sguardo, due parole e via.

È che, ormai, aveva esaurito la pazienza.
È che nel calcolo costi/benefici non riusciva a trovare questi ultimi.
È che non amava abbassarsi e non trovava persone al suo livello.
È che non sopportava la bruttura comportamentale ed estetica.
È che stava troppo bene con se stessa per dividersi.
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Caso Graffio

Cose da fare

Nella mia nuova casa c’è sempre qualcosa da fare. Per ora è quasi a posto la sala, almeno un angolo.

Il signore dio è sceso in terra ieri a dettare legge. Per la seconda volta voleva spostare il divano. L’ho lasciato fare.

Dopo averlo spostato mi ha detto che anche la libreria poteva essere spostata. Gli ho risposto che stava bene dov’era. L’angolo creato libreria/quadro verde a me piaceva così e la casa – che piaccia o no – è mia perché la pago io.

Ho anche pagato con grande fatica ( oltre che in moneta sonante ) l’organizzazione del trasloco da sola.

Ho pagato con grande fatica lo sgombero dei mobili e l’imballaggio dei quadri dei piatti dei bicchieri e di tutte le cianfrusaglie casalinghe, prima di metterle negli scatoloni.

La cosa incredibile è che in casa del Signore unico dio non si può nemmeno spostare un tappetino in bagno o un pouf. In casa sua tutto deve essere come decide lui, e mi chiedo perché nella sua testa bacata non dovrebbe valere la regola simmetrica che, come in casa sua decide lui in casa mia decido io? Mah.

L’altro ieri è arrivata la stufa. Lunedì verrà il tecnico per la installazione. Considerato che martedì è prevista una alluvione mi auguro di poter usare la stufa nella prossima settimana. Sarà rivestita in maiolica rossa e darà un calore caldo.

Il signore è sceso nella sua casa di città da un’ora.

Ieri ho terminato di svuotare tutti gli scatoloni. Erano trenta. Ieri ho anche terminato di disimballare i quadri: erano una decina di grandi dimensioni.

Ora ho da portare giù una decina di contenitori di plastica con dentro maglioni calze sciarpe e altro vestiario. Vedere di sistemare il tutto nella camera guardaroba. Poi i miei libri che sono davvero tanti e pesano. E tutto il resto di cui ho disseminato la casa che era “nostra”. Lui non ha portato giù nulla.

Il signore dio in questa settimana è sceso pochissime volte e solo per dare consigli. Non mi ha mai invitato a cena o pranzo per ritemprare le mie forze esaurite. Mai.

Ormai non mi lamento perché la casa è mia ed è giusto che faccia tutto io. Non sarebbe giusto se fossi in coppia ( perché in coppia ci si dà una mano in momenti di emergenza o no? ), ma ormai ho capito che era solo una mia balzana idea di essere in coppia. A volte noi donne siamo strane e crediamo alle favole o ci immaginiamo situazioni inesistenti.

Ormai mi sono arresa al fatto di essere sola e, francamente, non trovo spiacevole questa condizione perché sto finalmente piuttosto bene. Ho ritrovato la serenità perduta correndo dietro e dando retta a un essere totalmente inconsapevole e ingrato. Mai fatto un gesto, mai chiesto scusa per la totale incredibile assenza nel travagliato periodo del trasloco. Lui ha sempre una giustificazione come i bambini piagnucolosi.

( Trovo comunque abbastanza incongruente la frase che mi ha lanciato l’altro giorno: – In casa tua non si può nemmeno entrare.

Gli ho risposto: Bastava chiedere: ti serve una mano? E, in questo caso, in casa saresti entrato ).

Suo fratello mi ha detto che è per aria perché martedì rivedrà sua moglie per il divorzio. Suo fratello mi ha detto che lui è cambiato molto da quando ha il cane. Penso di essere d’accordo con suo fratello: il mio compagno è ancora palpitante per la mogliettina e, ormai è assodato, dopo la separazione l’ha sostituita con il cane. Ora lui è sposato con il suo cane. Sono in coppia loro. Io sono e valgo zero. Sono fuori dal triangolo. Lui lei il cane.

In questi tre anni l’ho visto correre in ansia dal veterinario per lo sperone della zampa del suo cane che aveva subito un urto; io da martedì ho una brutta ferita alla gamba sinistra che curo con garze di connettivina perché si ricostruisca il derma: sono andata da sola in farmacia. Nessuno è corso per me e il signore degli abissi ha pensato bene di lasciarmi sola la domenica quando poteva benissimo partire lunedì. Ma è trepidante per il suo vecchio e perenne unico amore: la moglie. Qui non ha nulla da fare. Doveva correre via. Con la sua moglie cane.

Dopo questo sfogo diaristico, torniamo a quello che devo fare.

Devo portare giù anche la statua di Keith Haring che mi ha fatto mio padre. È in legno. In parte l’ho già dipinta e decorata. Ora manca solo qualche tratto d’oro. Ho cassetti pieni di colori di tutti i tipi, ma come capita in un trasloco, i tubetti di acrilico oro misteriosamente erano scomparsi.

Quando martedì ci sarà l’ alluvione, sperando che la mia nuova casa non venga spazzata via con tutto il mio lavoro, mi occuperò dell’omino di Haring.

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Comunicazione, Linguaggio, Graffio

Ciccio 

Lui non comunica. Mugugna come un orso. Emette vari rumori, ma non parla. Tranne col suo cane che chiama “Ciccio”.

Ho avuto amanti epistolari. Filavamo una fitta tela verbale. Un sentiero pieno di parole come sassolini bianchi per non perderci, un giardino fiorito tropicale profumato, una giungla brulicante di verbi aggettivi virgole punti e sospiri. Un arabesco calligrafico.

Lui non scrive. Nemmeno un sms. Nemmeno un messaggio su WhatsApp. Non muove le anchilosate ditina per scrivere “mi manchi”, “ti penso”, o altre dolcetti amorosi. Lo ha fatto: i primi mesi per non perdermi e tenermi, poi ha smesso.

Al ristorante lui sta davanti e mastica. Io guardo i quadri appesi, normalmente orrendi. Oppure guardo le altre coppie che parlano e, qualche volta, ridono. E qualcosa dentro mi toglie l’appetito.

Lui parla seduto sul divano di un film visto venti anni fa: racconta scena per scena, battuta dopo battuta. Oppure ha visto Quark la sera prima? Bene. Il giorno dopo, seduto sul divano, racconta per filo e per segno ogni servizio e documentario. Trattengo a stento sbadigli per la noiosa stancante letargica ripetizione del già noto. Mi sembra di assistere alle “serate diapositive” del dopo vacanza di un tempo. Se non c’ero: chissenefrega? Se non ho visto: chissenefrega?

Lui, invece, non trattiene gli sbadigli le volte che gli parlo. Di noi. Dei comportamenti che andrebbero migliorati. O di qualcosa su cui amo riflettere. Lui mi guarda con occhi bovini e mi sbadiglia in faccia. Continuamente. Gli ho detto che non mi sembra educato, ma ha risposto che lo fa perché quella notte ha dormito male. Quando io gli parlo lui – prima – ha sempre avuto una notte d’inferno. Così parlo sempre meno. Nessuno mai mi ha sbagliato in faccia mentre gli parlo. Lo trovo cafone e so di non essere logorroica.

Ma non c’è cosa più irritante della resistenza passiva. Trovo davvero logorante porre un argomento qualsiasi e avere come risposta il silenzio.

In questi anni di frequentazione ho imparato a fare a meno di molte parole. Ho imparato a camminare accanto a lui senza dire una parola, senza fare conversazione. Sento solo la sua voce quando chiama il suo cane “Ciccio” o quando gli dice “Fermo” perché deve fotografare. Poi vige il silenzio. Nulla del fitto cinguettio di due anime in partecipation mistique. Due anime che amano condividere ogni passo fiore nuvola pensiero desiderio ansia.

In questi anni ho imparato a fare a meno di parole scritte. E mail. Messaggi. Lettere scritte a penna e bigliettini. Ho imparato a evitare di dire. Comunicare con lui è un optional. Non basilare anzi – a sua detta – inutile. Inutile parlare di filosofia, psicologia, spiritualità, esoterismo, letteratura. 

L’altro giorno ha portato su in montagna dei libri presi dalla mia casa in valle. 

– Ho preso questo perché mi piaceva il titolo – ha detto, mostrando un libretto con la copertina nera di cui mi ero completamente dimenticata.

– Ah, sì… C’è un racconto che ho scritto io in quel libro, con uno pseudonimo.

Mi ha guardato con i suoi occhi bovini. Credete che mi abbia chiesto altro, mosso da una normale curiosità? Come quando perché dove chi? Sapete le cinque W del giornalismo? Comunque sta con una che scrive e pubblica. No. Non chiesto nulla. Il libro sta lì ammonticchiato tra altri e non ha neppure letto il mio racconto.

Ogni giorno normalmente pubblico nel blog. Credete che mi chieda: – Cosa hai scritto di bello, o di brutto, ultimamente?

MAI. Nemmeno una volta al mese. Mai.

Quando mi vede rispondere ai commenti, farfuglia: – Hai sempre quel coso in mano. 

Inutile che io ripeta che lo smartphone o l’iPad li ho in mano perché – essendo una blogger – ogni tanto devo postare o rispondere. Inutile che io ripeta che in realtà, essendo istintiva e veloce, non andando in giro a fare selfie e aborrendo l’uso e la dipendenza dalle macchine : io in realtà ho in mano pochissimo gli strumenti che, come ora, mi servono per scrivere e comunicare con chi leggo o mi commenta.

Voi direte: – Ti sei scelto un uomo taciturno. Che vuoi allora?

Il problema è che il mio lui non è taciturno: passa ore a parlare con i vicini, gli amici, i passanti, le commesse nei negozi… Scende a portare il cane? Si ferma alle stazioni, come nella Via Crucis, a parlare con i vicini che incontra. Di cosa? Del suo cane: argomento principe. 

Allora perché con me non parla? 

Perché non comunica? 

Perché mi sbadiglia in faccia quando io comunico? 

Perché lui ama parlare solo di sé e di Ciccio. 

Tutto quello che esula dalla sua divina persona con appendice canina annessa è da evitare. 

Il suo pronome preferito è : Io.

Voi capite, dunque, perché io ho ancora amanti epistolari o reali. Perché io di parole mi nutro. Non ne posso fare a meno. 

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Graffio

Dal parrucchiere

novembre4 017

Resto semplicemente a bocca aperta. Non ci posso credere. Non vengo mai di venerdì. In settimana è tutto più calmo, meno clienti. Invece di venerdì tutte le postazioni sono occupate dalle “signore”. Una lavorante sta fonando i fluenti riccioli biondo-castano di una signora che non vedo in viso. Finita la piega fissa con la lacca. Nuvole e nuvole di lacca davanti dietro sopra e a testa in giù. Praticamente c’è nebbia. Ma la signora ne vuole ancora. E ancora. Effetto naturale: mi viene da pensare.

Poi la signora si alza e la vedo emergere dalla cappa fumosa: un viso piatto da sogliola con due occhietti cisposi da topo: orrenda. Si lamenta per dieci minuti con il titolare perché la lavorante non le ha fatto i capelli abbastanza gonfi.

E qui torno e ribadisco la mia teoria nata dopo anni di muta osservazione nel salone del mio parrucchiere: più la donna è brutta più vuole i capelli perfetti, come se avere una bella curata pettinata chioma potesse eliminare lo choc di quando si volta e si vede il viso.

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Graffio Testo aperto,

Piccolo uomo 

Piccolo uomo pennuto con file ordinate di bianchi denti ai lati dell’ossuta faccia e le tue dita di falena con unghie rosicchiate dal sole a picco sulla calce viva.

Piccolo uomo apache con piccoli spilli d’occhi e tutto l’azzurro dentro serrato a forza.

Che avrai pensato del mio abitino fucsia corto sulle gambe scure e della sbucciatura sul ginocchio, che ormai è guarita. Ormai è guarita.

Piccolo uomo che stai appeso alle pareti e costruisci senza pianto il tuo muro stabile.

Tu che nella notte accarezzi il suono di civette lamentose.

Di me e della mia solenne civiltà della mia auto cabriolet.

Degli occhi penetranti.

Che avrai pensato ponendo la tua livella e il filo a piombo per misurare la distanza d’astri e pianeti tra la tua vita e la mia.

Piccolo uomo che sei caduto nel mio misero piatto come un moscone non invitato.

Io, misera, piena di stagnanti pregiudizi.

Ho ricevuto un’altra solenne lezione perché i servi lasciano la stanza mentre i padroni mangiano.

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P.s. Questo testo ha avuto diverse letture ed interpretazioni. Come ho spiegato nei commenti a volte parto da una frase che mi stimola a livello linguistico e immaginifico e vado avanti come scivolando sulla neve senza agganci reali al reale.

Chiamerò questi testi : Testo aperto. Proprio per questa duttilità interpretativa.

Riporto il commento di Massimo Legnani. Le sue interpretazioni aggiungono note surreali al brano. Io le ho trovate davvero esilaranti.

Eccole:

Azzardo ipotesi:

la piu’ ovvia, un indiano d’America, di riserva, in questo caso di scorta, che ti tenevi buono per i tempi bui, sopravvalutando il miraggio di Dustin Hoffman.

Altra ipotesi: da ragazzina ti eri invaghita del tuo maggiordomo, sai di quelli in gamba che stanno appiattiti alle pareti ma a cui nulla sfugge, nemmeno le tue gambe adolescenti (s)coperte dalla brevita’ voluta della gonna. Ti piacevano i suoi occhietti a spillo che ti trafiggevano la pelle. Ma poi lui si ritirava a mangiare in cucina e questo non lo sopportavi.

Terza ipotesi: un capomastro, di quelli tutti cantieri e mattoni, ma con il pallino dell’astronomia, cosi’ credevi, ma era astrologia della piu’ sciatta, carte sgualcite che interrogava di continuo.

Altre ipotesi?

Massimo Legnani orearovescio.wordpress.com

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Collage Graffio Storie

Ritratto di signora in giallo 

Sale sulla macchina con la mise giallo limone ed è un fiume in piena. Vorrei chiederle che sostanze stupefacenti ha assunto per salire così in alto nella gara di loquela. Non fa una pausa e quando cerco di dare un contributo, senza tatto, mi zittisce. Continua con la cascata canterina. Nessuna sostanza: l’adrenalina è provocata dal ritorno di fiamma. 

Ha rivisto il suo ex, che è arrivato con la nuova auto gialla: per simpatia ed empatia lei veste da due giorni come un canarino. Lui l’ha portata a mangiare nella sua città.È venuto a prenderla, l’ha portata a chilometri di distanza dove lui vive, hanno pranzato, l’ha riportata a casa, ed è tornato nella sua città a chilometri di distanza. 

Come una diga sbloccata, il fiume dell’esaltazione ha rotto gli argini e invaso la campagna. 

Pensavo che avesse chiuso con il tema consueto e invece il cadavere è stato riesumato, l’amore risorto, tutto tornato come prima e Lazzaro cammina. Così prosegue con l’eccitazione fanciullesca e, a tavola, trova il modo di informare l’altra amica sugli arbori della loro storia. Narra per l’ennesima volta il loro primo incontro con le rose blu che, evidentemente, non sono ancora appassite. Tutto viene riesposto, steso al sole perché si asciughi. 

La guardo sconsolata. Dopo una salutare pausa di pochi mesi so che da ora in poi l’argomento sarà monotematico, noioso, previsto e imposto. Più di un’amica improvvisamente innamorata di un uomo appena incontrato: che deve mostrare a tutti il suo incontenibile splendore, ancor più indigesta appare l’amica giallognola che rimastica ruminando infinitamente la medesima pietanza che pensavamo avesse rigettata definitivamente.