Sete

Tu non vedi l’arsura 

mentre io pesco con affanno 

le grondanti parole

perché di queste ho sete.

Le luminose frasi, 

virgole e spazi

gli arabeschi

che girano tutt’intorno 

nello spazio azzurro.

Taci sempre, 

ignori lo scrittoio.

Stai tra bianche carte vuote. 

Per questo lancio al vento

gli ami verbali 

per avere parole nuove

da masticare piano. 

Non voglio carne e pane

da ingoiare nei soliti banchetti.

La mia fame

è di lettere

e ventagli, in questa landa

così disadorna e muta. 

Uscita dal mio angusto antro 

non chiedo che parole

a ogni fantasmatico viandante.

Un cencio di parole

da succhiare

adagio. 

Le vocali e consonanti appese

ad asciugare all’aria –

nell’intima gioia 

della scrittura

che attira il desiderio –

18 pensieri su “Sete

  1. Ha descritto in modo mirabile del conflitto insanabile tra chi è assetato di parole e chi non lo è. Chi è assetato di parole ha sete anche di conoscere, di comprendere, di imparare. Questo è l’esatto contrario di chi vuole rimanere ignorante.

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  2. C’è un’urgenza che attraversa questi versi, una fame antica che non cerca cibo ma presenza.
    Si sente il desiderio fisico della parola, come se scrivere fosse respirare, e tacere fosse una forma di morte lenta.
    Hai descritto la poesia nel suo stato più puronon ornamento, ma sopravvivenza.
    Quelle vocali e consonanti appese ad asciugare sono un’immagine meravigliosa,perché racchiudono tutta la fragilità e la potenza del creare: il gesto quotidiano, l’intima gioia, la necessità che non si può spiegare ma solo vivere.
    Questa poesia non parla di scrittura: è scrittura.
    E chi la legge sente di aver bevuto qualcosa di vivo.
    Meravigliosa…una poesia che cattura.

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