Piroettó

Piroettò tra le calligrafiche pagine.

Il tacito inserviente le asciugava i fogli con la carta assorbente.

Le parole, allora, ricomparivano simmetriche e rovesciate come in uno specchio. Otteneva il negativo e il positivo dalla scrittura.

Buttava gli innocenti segni segreti in pasto. 

Non indugiava nello scegliere – tra i preziosi – quale fulgida gemma. Accostando violette e margherite e piccoli fiori blu, otteneva sempre un decoroso mazzo. Un po’ selvatico, come – d’altra parte – era il suo spirito difficilmente imbrigliabile.


Negli scuri calamai pescava i termini, come nella mattanza, i tonni. Spesso schizzava qualche macchia rossa. 

Stava bene nell’ultimo barlume della sera. Che usassero gli altri le cesoie. Tra spade, palme e corone d’ulivo ne avevano già crocifissi diversi. 

Bastava gioire del colmo dell’arte: come l’improvvisa fioritura d’ogni primavera. Come la scricchiolante cromia delle foglie d’autunno.

Aveva un passo leggero e fragile quando, sulla pagina bianca, depositava neri segni densi. 

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