Sorella

È sempre molto complicato vivere per insicurezza paura angoscia. L’ombra cupa delle parole vaticinanti. Le forme eruttive degli avi che ti pre-dicono e pre-formano. Cattiva bambina che hai tirato i capelli alla nonna. La madre arrivava alle sei a prendere il pacco rosa.

Sono cresciuta nella costante danza di annientamento del casolare con i manzi pronti al macello. Forse l’odore di sangue mi ha cresciuta selvaggia e fiera. Con denti aguzzi di ribellione estrema. In cerca d’amore.

Le bambine erano vestite sempre uguali: ci credevano gemelle. E io non capivo da quale meteorite fosse caduta quella che mi dicevano sorella. Detronizzata dal trono di figlia unica lo ero già stata dopo la nascita del principino. Da prima ero diventata seconda per importanza: perché il cucciolo maschio andava accudito. Quindi eravamo due. Con due genitori.

Poi a quattro anni è arrivata lei e ci hanno vestite sempre uguali: stessa gonna camicia cappellino e cappotto. Mia sorella la chiamo La Santa. Tanto diversa da me: così priva di noia risentimento rabbia. Sempre pronta a servire accudire: pulire le scarpe di tutti la sera china ai piedi della scala marmorea nera. Pronta a mangiare la pera meno sana a tavola la sera. Ho fermato una pazza che la inseguiva con le forbici aperte per salvarla.

Forse è l’aver forzato l’uguaglianza di apparenza ad averci reso così diverse poi.

Io navigo nelle tempeste mentre lei tiene sommerse le maree. Possiede una tolleranza paziente. Non conosce le acrobazie mentali e l’attrito o la fusione degli ossimori. Conosce la lenta tessitura del telaio. Tiene insieme i cari nelle oscillazioni temporali.

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