L’arroganza è debolezza, non forza. Il forte sa stare fermo e non si altera. Sa dialogare. Non aggredisce. Non si chiude in una posizione rigida di orgoglio. Pessimo stato di immobilismo e chiusura. Chi lo prova non si abbassa. È rigido. Poco flessibile. Peccato che la rigidità comporta fratture irreparabili, al contrario della flessibilità. Il giunco, vegetale flessibile, si piega al vento ma non si spezza.
Senza estendere la riflessione alla guerra in atto, pensando che è lontana e fuori da noi, pensiamo invece a tutte le volte che la guerra la facciamo noi.
Ci sono momenti nella vita in cui pensiamo di aver ragione e ci arrocchiamo nel nostro monolite senza piegarci un istante per prendere in considerazione il punto di vista altrui. Non ascoltiamo con un minimo di umiltà disponibilità e rispetto il punto di vista dell’altro.
In una disputa, in una lite, normalmente la ragione non sta totalmente solo da una parte o dall’altra.
Due persone adulte dovrebbero in una situazione emotivamente alterata, passato il momento di rabbia ( è sano e normale avere un momento di rabbia che non va demonizzata) due adulti dovrebbero sapersi guardare e dirsi con calma cosa ciascuno pensa. Solo così si può procedere.
A sottolineare, evidenziare, mettere sotto gli occhi i disturbi di comunicazione qui è anche saltata la linea dell’operatore telefonico.
C’è chi dice che in questo periodo di emergenza nazionale e chiusura totale è bene aprire totalmente i cuori e la comunicazione, il dialogo. Ho già scritto tempo fa che dia-logo è unione dei dia-metralmente opposti. Non è cosa tranquilla.
Capisco che la convivenza forzata non è sicuramente il terreno più agevole. Quando ero sposata non vedevo praticamente mai mio marito, lui era fuori per i suoi impegni lavorativi più di me. Era già un lusso se lo vedevo per cena perché spesso era via per giorni.
Oggi la pandemia ci ha portato in una situazione differente. A molti tocca stare con figli e consorte per tempi lunghi senza vie di fuga. Occorre quindi ri-imparare a convivere, capire, ascoltare e dialogare.
Per dialogare occorre rispettare.
Per rispettare occorre capire intuire vedere i bisogni dell’altro, oltre ai propri.
Se ci sono attriti ( teniamo conto che molti topi in uno spazio ristretto finiscono per essere molto aggressivi come ci spiegano diversi esperimenti )
se ci sono attriti è bene mettere in campo una dose maggiore di tolleranza e pazienza. Magari anche ricavandosi dei piccoli spazi fisici e mentali privati. Naturalmente sarà favorito chi ha una grande casa.
Il nostro astronauta italiano diceva, in una intervista, mi sembra da Fazio che anche nello spazio ristretto della navicella si deve imparare la pazienza, la divisione dei compiti e il dialogo.
Quando tornerà la linea posterò questa riflessione che ora è annotata sul notes dello smartphone. Un uomo ha ammazzato la moglie con un colpo di fucile. Questo leggevo stamattina sui quotidiani.
Stare “insieme” in questo momento può portare una dose di insofferenza e aggressività incontrollata. Nelle trasmissioni televisive che a volte vedo, viene stigmatizzata la storia più “romantica”: i coniugi anziani insieme da una vita a cui viene data la possibilità di essere nella stessa camera anche in ospedale; gli innamorati che si vedono dal balcone; il compagno che aiuta la donna a farsi i capelli.
Cose belle e romantiche. Poi c’è tutto il sommerso e non detto. Tutto questo riempirà gli studi di analisi psicologica dopo o le farmacie per l’assunzione di ansiolitici.
Come scriveva un mio amico in un commento a un mio post: in questo momento c’è uno spartiacque. Chi si ama davvero resiste e rinforza il rapporto. Per gli altri c’è la fuga, la separazione, l’abbandono.
Fosse per me farei fare dei corsi obbligatori di buona educazione per adulti. Così tanto per ripassare quattro regole fondamentali.
Che a tavola si usa correttamente il tovagliolo ( ho visto persone pulivirsi il naso ). Che il fazzoletto da naso va cambiato frequentemente e non riposto in tasca e ritirato fuori trecento volte.
Che quando una persona ti fa un favore si ringrazia, magari anche con un gesto di gentilezza anche se è solo il tuo compagno o la tua compagna e non solo l’amico medico che ti visita senza parcella. Ci sono persone che sono estremamente grati verso gli estranei e si comportano malissimo con i vicini. Il prossimo è prossimo: cioè vicino.
Farei dei corsi di buona educazione per insegnare a lasciare il posto agli anziani, invece di dargli fuoco.
Farei fare dei corsi di buona educazione per le coppie moderne: i messaggini servono in casi di comunicazione veloce: la con-vers-azione è altro. A tavola si fa conversazione con chi sta al desco e non si guarda lo schermo né si fissa costantemente la ragazza/donna che sta al tavolo di fronte. Fa molto cafone.
Farei fare dei corsi obbligatori per imparare ad ascoltare la versione di un’altra persona senza interrompere, per poi dire la propria: imparare a COMUNICARE è la base di ogni vero rapporto.
Farei dei corsi di comportamento corretto. Se una persona ti fa un regalo “importante” e ti è di aiuto il giorno prima, non dimentichi il giorno dopo di avvisarla che non torni. Il rispetto verso l’altro è ricordarsi che l’altro c’è non solo quando “ci serve”. Ci sono persone che pretendono costante attenzione verso se stessi: dovrebbero imparare a ricambiare la medesima attenzione. A meno che si tratti di vampiri.
Farei dei corsi obbligatori per i bambini e le bambine capricciose cresciuti/e: per imparare che non serve giocare alla guerra tutti i giorni. Non vince il più forte: perdono tutti. E alla fine è un gioco che stanca. Qualcuno può uscire per sempre dal campo e divertirsi di più a giocare alla pace.
Farei fare dei corsi obbligatori a certi uomini. Qui si prende l’acqua minerale a una fonte. L’altro giorno avevo sei bottiglie da riempire, un uomo aveva sei bottiglioni e una cassetta con dentro dodici bottiglie che era intento a riempire. Non mi ha nemmeno guardata o salutata, non ha detto: – Io ho da fare il pieno a molti contenitori… se vuole…
Me ne sono andata. Ho visto uomini più galanti aprire ancora la portiera dell’automobile alla “signora”: desueto gesto, ma molto garbato. Ho visto uomini prendere mazzi di fiori o ordinarli dal fioraio per la signora. Un piccolo gesto di gentilezza sempre apprezzato.
Ho visto uomini che, in caso di baruffa, sanno inventarsi un gesto nuovo per la propria donna ( una mia amica oggi, per esempio, passerà una bella giornata in un famoso borgo perché il suo compagno l’ha invitata per farle una sorpresa: ha capito che lei sta passando un periodo lavorativo difficile e vuole regalarle un giorno di relax).
Forse dei corsi obbligatori non servono molto: si nasce “signori” o “cafoni”.
Piove e oggi dovrò mettere a posto alcuni pezzi sulla scacchiera. Non sopporto i soprusi. La mia voglia di libertà sta dilagando. Ho tolto alcuni lacci che mi tenevano troppo stretta. Non desidero padroni.
Prevaricazione e prepotenza non fanno per me. Mi prendo, riprendo, i miei spazi talvolta occupati da truppe straniere. Tutto il confine ben delineato. Quello che puoi fare tu arriva al cancello. Decido io se aprire e chiudere. Esigo rispetto.
Parola, il rispetto, che ultimamente sembra mancare visto alcuni atti efferati e giochi di ragazzini annoiati. Manca la fatica. L’allenamento alla fatica. Poi subentra la noia nello spazio del nulla. Occorre lavorare imparare progredire, darsi da fare. Leggere studiare.
Ri-imparare l’educazione civica. La base è il rispetto dell’altro. Se manca il rispetto crolla tutto.
In questo periodo desidero solo rispetto e parto dal rispetto di me stessa. So cosa desidero e voglio. Non permetterò a nessuno di sopraffarmi. Di togliermi aria. Di manipolarmi. Di asservirmi. Di decidere per me. Di farmi perdere tempo. Di pretendere la mia presenza con uno schiocco di dita. Di fare il brutto o cattivo tempo se non faccio la brava bambina.
Mi sento finalmente libera di determinare il mio essere al mondo senza briglie. Desidero galoppare libera. Eventualmente a fianco di persone che amano il rispetto quanto me.
Cortesia appartiene a un vocabolario antico. Va a braccetto con rispetto.
Chi è cortese è empatico. Per essere empatici occorre saper calzare le scarpe di un altro o saper entrare nella sua pelle.
Chi non è cortese gira e rigira nell’angusto spazio asfittico del proprio Ego. Sembra un galleggiante pesce prigioniero nel ghiaccio. Uno spazio senza finestre.
Lo scortese è una bestia frustrata rancorosa e cieca. Non vede i colori irrecuperabili del cielo.
Chi rispetta l’altro vede la sua unicità e differenza. E la apprezza. Sa tendere una mano in caso di aiuto. Conosce la cura. Sa coltivare l’ascolto. Conosce le regole dell’armonia e sa che tutto torna.
Ricordatelo quando mi poni sul tavolo chirurgico e con i bisturi tagli per penetrare nella carne. Ricordatelo quando mi leggi e analizzi ogni passaggio, ogni puntino di sospensione con la lente d’ingrandimento per capire chi io sono.
Ricordatelo quando mi trapassi con lo spillo per mettermi – le ali in croce – nella teca.
Facile guardare una lastra radiografica in controluce. Puoi vedere le mie ossa, non la mia anima.
Sono acqua che guizza: non puoi trattenermi nel cavo delle mani ad infinitum. Ogni mia traccia è impermanente. Solo impronte che si dissolvono alla prima pioggia. Non fossili da esaminare.
Ho un passo di gazzella quando salto e scrivo. Semplicemente fermo l’attimo fuggente. Mentre normalmente evapora nei meandri labirintici il tuo pensiero. Non sono incisioni perenni sulla pietra del mio pensiero.
Attimi e frammenti. Frammenti evaporanti di piccole gocce d’acqua al sole.
Così io farò con te. Avrò la pazienza dei saggi, terrò a bada lo spirito indomito che mi porta come puledra a galoppare VIA.
Così io ricorderò la tua inconoscibilità senza tirare le somme sull’ardesia del tuo manifestarsi, sul foglio dell’evidenza con lo sguardo del pregiudizio. Così rispetterò le tue tremila forme.
Così attenderò sulla soglia della tua porta con un bussare lieve.
” Io sono prigioniero di questa contraddizione: da una parte, credo di conoscere l’altro meglio di chiunque e glielo dico trionfalmente ( Io sì che ti conosco! Solo io ti conosco veramente! ); e dall’altra, sono spesso colpito da questa evidenza: l’altro è impenetrabile, sgusciante, intrattabile; non posso smontarlo, risalire alla sua origine, sciogliere il suo enigma.
Da dove viene? Chi è? Mi esaurisco in sforzi inutili: non lo saprò mai”.
Capire, profondamente, che l’altro sia l’inconoscibile è la forma più alta di rispetto della diversità dell’altro; da meditare ogni giorno al risveglio in questo mondo di omologazione, livellamento e appiattimento.
Io sono sempre stata come sono
Anche quando non ero come sono
E non saprà nessuno come sono
Perché non sono solo come sono.
Patrizia Valduga – Quartine
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