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Violenza psicologica


Prima della violenza fisica c’è sempre una violenza psicologica. Molti lo dimenticano. Prima di essere uccisa la moglie compagna ha dovuto subire per anni una sottile violenza psicologica da parte del marito compagno.

La realtà sottesa è una nebbia di “devi-non devi” : devi fare quello che dico io, devi sottostare ai miei bisogni desideri ordini, devi essere sottomessa e docile, io comando tu esegui, devi sorridere essere felice di ogni mia scelta e stare al tuo posto, non devi parlare con nessuno: quello che capita fra di noi è nostro e non va messo in piazza.


Il pulviscolo che alberga nella mente degli uomini che uccidono e maltrattano le donne è la paura di perderla.

In realtà si tratta di uomini estremamente fragili. Hanno una dannata paura di perdere il controllo sulla compagna e così perdono il controllo dei gesti, con i cosiddetti raptus. Non sono uomini dotati di un equilibrio interno. La prepotenza è segno di fragilità estrema.


La prima volta che ho detto al mio compagno di un tempo che lo avrei lasciato si è messo a piangere come un bambino dicendo : – E adesso cosa faccio?
Poi sono arrivate le botte perché era l’unico modo di “fare” che aveva trovato per sconfiggere la paura di perdermi.


Dell’altra parte psicologica – vissuta dalla vittima donna – ci sarebbe da scrivere per anni. E qualcosa è stato scritto e detto. La donna non può credere che l’uomo che dice di amarla le faccia violenza. Rimane attonita. Incredula. E pensa sempre di “redimerlo” : cosa che non avviene mai.

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Buongiorno piccola


Buongiorno piccola, mi scrive l’uomo macho. A lui, come ad altri, piace scrivere “Buongiorno piccola”.

Fa molto Humphrey Bogart con la sigaretta penzolante dal labbro inferiore e rigorosamente in bianco e nero. Fa molto uomo che procaccia i viveri per la donna cavernicola. Fa molto: Uomo che non deve chiedere mai.


Ci sono uomini che, in questa epoca virtuale digitale con smartphone che ormai non servono più a telefonare: servono a colorare fotografare ritoccare la realtà… ci sono uomini che rimangono sempre in bianco e nero.

Attaccati e replicanti del modello paterno nella società patriarcale: l’uomo lavora, esce la sera con amici e non deve dar conto a nessuno mentre la moglie tiene in ordine la casa, cucina e cura il bilancio familiare.

Sembra incredibile in questo periodo infuocato frantumato ammalato liquido che esistano ancora maschi così. Eppure.


Hanno scatole colme di tovaglie ricamate a mano dalla madre. Hanno scatole piene di ricordi. Non riescono a buttare: vecchi centrini, vecchie fotografie, videocassette, audio cassette, tesserine, astucci per il ricamo, vecchie e logore lenzuola, giacche, papillon, camicie, calze, scarpe…
Sono non solo legati al passato, sono dentro il passato. Lo vivono come se nulla fosse imperiosamente cambiato intorno a loro.

La donna – come nel passato – deve tacere, non dire. Avere un comportamento discreto, non chiedere, non essere. Essere invisibile. Fare ogni cosa sottovoce, in secondo piano, sullo sfondo. In modo che loro, gli uomini in bianco e nero, possano condurre la propria vita agevolmente dall’alto con la lustrascarpe ai piedi.

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Uomini

” Mi piacciono gli uomini

la cui forza si esercita aiutandoti,

con discrezione, a vivere.

Mi piacciono quelli che lo fanno senza troppe parole…

La comprensione vera della donna mi sembra

il più alto esercizio dell’intelligenza

e della capacità maschile

di amore

Elena Ferrante – Intervista su Robinson

Non mi sembra il caso di aggiungere altro. La vera comprensione della donna mi sembra il più alto esercizio dell’intelligenza maschile.

Naturalmente si sta parlando dell’intelligenza emotiva. Sottintende EMPATIA ( per chi vuol approfondire: Daniel Goleman ).

Solo un uomo che sa amare con intelligenza emotiva può riuscirci.

Agli altri: i distratti, gli indifferenti, i superficiali, banali e stolti non resta che esercitarsi a vedere la loro stupida immagine riflessa in uno stagno per poi annegarci, piangendo.

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A volte tornano

A volte tornano
C’è stato un tempo in cui, essendo single, ho incontrato molti uomini. Quanti? Molti.

Normalmente gli incontri avvenivano per cena. Lo spazio di una cena è sufficiente per capire qualcosa di chi si ha davanti. Come parla, come si muove, lo sguardo, il contenuto. Chiacchiere leggere e distese tra un piatto e un bicchiere. Nulla di più. Non ho mai concesso nemmeno un bacio nel post cena.

Qualche volta mi è stato chiesto di rivederci, qualche volta ho cancellato il numero. Qualche volta ciascuno è sparito nella sua ricerca personale di un partner ideale.

Non ho mai capito perché, a distanza di anni – e non mesi, qualcuno ritorna.

Mi è capitato ora mentre leggevo l’interessante libro: L’ordine del Tempo di Carlo Rovelli. Suona lo smartphone. È un messaggio su WhatsApp.
Con stupore è di un certo G. di cui non ricordo assolutamente nulla: né dove quando e perché ci siamo visti. La foto nel profilo aggiunge solo nebbia alla nebbia. Mi scrive che ho delle belle foto e che non mi ha cancellato perché mi ricorda simpatica.

I messaggi arrivano a ripetizione e sono quasi tentata di diventare improvvisamente antipatica mettendolo, seduta stante, in lista nera.

La domanda che comunque arriva al cervello è: perché, dopo tanti anni, certi uomini che ho incontrato tornano?

La risposta, ovviamente personale e magari sbagliata, è: per solitudine.

In questo tempo liquido di incontri continui attraverso i siti di dating online e social, alla fine cosa resta? La solitudine.

Trovare l’altra metà della mela, soprattutto dopo gli anta, è davvero molto difficile. Ricordarsi di un incontro “speciale” e cercare di ripristinare una comunicazione è come aggrapparsi a un filo di speranza. Si guarda in rubrica, si guardano le immagini, si ricorda, si prova.

Questa situazione di “riacchiappo” l’ho vissuta diverse volte negli ultimi anni. Tenendo conto che l’ultima relazione è durata quasi quattro anni e tenendo conto che io: se sto con una persona sono fedele, significa che i signori in questione li ho incontrati almeno quattro anni fa.

Perché appaiono negli occhietti che hanno visualizzato il mio stato su WhatsApp è un mistero. A meno che abbiano come passatempo giornaliero di guardare lo stato di tutte le donne con cui sono stati a cena.

Oggi ho aiutata una vicina di casa che tempo fa si è infortunata a prenotare una ecografia. È anziana e sola.
Ecco: è questo che spaventa. La solitudine.
Dopo tante energie spese, tanta ricerca, tanti incontri non andati a buon fine, resta la solitudine e il tempo che va avanti.

P.s. Stamattina ho trovato un altro messaggio di G. A questo punto ho dovuto metterlo in lista nera.

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Il pignolo

Mia madre ride ancora ogni volta che racconta del cognato di un mio ex fidanzato: era un pignolo.

Il pignolo normalmente è una categoria maschile che si esprime al meglio in un campo prettamente femminile: la cucina e la casa.

Trattasi di maschi normalmente secchi, asciutti, magri, allampanati. Qualche volta possono avere un po’ di pancetta. La caratteristica che comunque li rende facilmente riconoscibili sono le manine.

Con le febbricitanti manine devono mettere a posto: spegnere luci, aggiustare l’ordine maniacale degli oggetti, abbassare e aprire imposte, tirare le tendine e i copriletti in modo che non ci sia una piega.

Avete presente il personaggio di Verdone nel bellissimo episodio con la moglie Magda? Ecco: quello è l’emblema del pignolo. Tutto deve essere sotto controllo, altrimenti l’ansia tracima.

Esseri davvero difficile da sopportare se si vive insieme. La pignoleria infatti si espande in tutto il territorio contaminando l’habitat. La donna sta cucinando? Il pignolo deve controllare dire consigliare verificare che tutto sia a posto.

– Ma come mai c’è questo sale rosa?

– È sale dell’Himalaya.

– Non lo userai per mettere via i funghi sott’olio.

– No, caro.

La moglie di sera è in camera a mettere via un golf : d’improvviso si ritrova al buio perché le manine del pignolo sono intervenute a spegnere l’interruttore.

– Lo sai Magda che la luce si spegne.

Magda lo guarda e dice:

– Ma c’ero io…

– Questa volta c’eri tu. Ma altre volte mi è capitato passando in corridoio di vedere la luce accesa. Diciamo che nell’ultimo anno è successo almeno tre volte…

Il pignolo ama i tappetini arrotolati nel bagno. La moglie lo srotola, apre, stende sotto il lavandino? Dopo poche ore lo ritrova arrotolato. Se Magda chiede il motivo ecco la logica risposta dell’omino pignolino:

– Lo sai che quando faccio la doccia i piedi devono posarsi su una superficie fresca e pulita. Arrotolando il tappetino la parte interna rimane candida, senza neanche un pelucco.

Per il pignolo ogni cosa deve essere al suo posto. Nessuna variazione è ammessa. Nella borsa a tracolla in ogni scomparto un oggetto. Nel cassetto del comò a destra i fazzoletti, a sinistra gli slip. L’armadio del pignolo pare lo scomparto di un negozio di abbigliamento. Tutto allineato impilato ordinato. Non troverete mai un vezzoso slip femminile tra le sue obsolete stanche cose. Il pignolo non ama scompiglio. Detesta l’imprevisto. Aborrisce la sorpresa. La novità. Il gioco. Il miscuglio. Il capriccio.

Il pignolo ama la noia e annoia.

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Ethos Uomini

L’uomo primitivo

L’uomo primitivo è rimasto al tempo di suo padre e di suo nonno. La donna deve badare alla casa e servirlo. Cucinare, pulire, servire a tavola: l’uomo primitivo sta seduto ad attendere cibi appetitosi perché occorre solleticare il suo appetito furioso. Poi si accende un sigaro mentre la donna sparecchia e mette a posto la cucina. È lei che deve pensare a fare la spesa e programmare cosa preparare per pranzo e cena. Non faceva così anche sua madre e sua nonna? Non è minimamente sfiorato dalla moda degli uomini chef, dalla evoluzione storico-culturale dei compagni e mariti che accudiscono la prole, anche ormai con permessi ad hoc, e che danno una mano in casa “alla pari”. Il suo tempo è cristallizzato a due tre generazioni indietro. È fermo al focolare, alla pietra focaia.

L’uomo primitivo si alza tardi. È la donna che in inverno si occupa di fargli trovare una temperatura gradevole la mattina dopo il rigore della notte. L’uomo primitivo ha bisogno di dormire molte ore perché è pigro: a differenza dei suoi atavici antenati non lo attende una giornata di caccia per procacciare il cibo. Ma gli è rimasta la stanchezza atavica nel sangue anche perché la sera sta incollato alla tv a vedere fino a tarda notte programmi improponibili.

L’uomo primitivo non è cortese, essendo primitivo è rude. Più che parlare grugnisce. Non fa conversazione perché non deve esporre il proprio pensiero e, caso mai lo avesse, si tratterebbe comunque di due o tre concetti base: ho fame, voglio far sesso, esco. L’uomo primitivo non è affettuoso: non dà carezze baci abbracci. Usa il proprio corpo e quello della femmina solo nell’atto sessuale a letto.

L’uomo primitivo non dice mai grazie nè scusa. Nel suo cervello primitivo queste due importanti parole non hanno senso alcuno: comportano un tener conto dell’altro che esula dal suo perimetro cerebrale. Ringraziare chi e perché? Chiedere scusa a chi e perché? L’uomo primitivo basta a se stesso, non deve chiedere mai e a lui tutto è semplicemente dovuto dal tempo dei tempi.

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Hawking il re tenace

Noi: esseri piagnucolosi, che ci contorciamo in miseri quadrati di terra, dovremmo oggi pensare a Stephen Hawking: piccolo e grande, grandissimo uomo e al suo universo di stelle.

Uomo di una leggerezza eterea nonostante il vincolo terribile del corpo. Uomo tenace e forte a cui la scienza medica aveva pronosticato due anni di vita e che, invece, ne ha vissuti intensamente 55. Morendo a 76 anni.

“Per quanto la vita possa sembrare brutta, c’è sempre qualcosa che si può fare”. A quanto pare lui non si è mai arreso e si è dato da fare. Non solo nel suo preciso campo di studio ricerca e azione, ma anche nel gioco, diventando una icona, un cartone animato, una comparsa, un film.

Ci penso sempre quando vedo una persona con una disabilità lottare e vincere, o comunque gareggiare viaggiare partecipare salire scendere esplorare non fermarsi davanti all’ostacolo, superare superare superare. Ci penso sempre: e io? Io cosa farei? Come sopporterei vivrei supererei affronterei?

Solo allora mi vergogno non poco delle inutili lamentele per le futili cose di persona sana che può sciare con due gambe, parlare e leggere grazie alla vista e alla voce, salire le scale o ascendere in vetta senza ausili e aiuti.

Hawking ha amato viaggiato incontrato papi e presidenti volato persino in assenza di gravità recitato e lavorato. Mi piace ricordarlo con le sue parole:

” Si può uscire da un buco nero, anche verso un altro universo. Se vi sentite dentro un buco nero non arrendetevi. Una via d’uscita c’è”.

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Graffio, Uomini

A volte tornano

Stavo pensando all’estrema frammentazione dei rapporti. Allo sfaldamento del terreno, agli smottamenti e valanghe ( proprio ieri qui in montagna ne ho vista una ).

C’è stato un periodo in cui tre, quattro anni fa ho incontrato diversi uomini. Quando termina un rapporto e non si desidera star soli basta, oggigiorno, guardare sfogliare i cataloghi e scegliere il prodotto, fissare un appuntamento dopo aver verificato che il prodotto non è avariato, e uscire a cena. Due chiacchiere e si verifica.

L’altra sera mi è arrivato su WhatsApp un messaggio. Era un interessante uomo che avevo appunto incontrato almeno tre anni fa. Mi chiedeva, dopo tre anni di assoluto silenzio, come stavo, se mi ricordavo di lui e se volevo riuscire per una cena.

Tre anni. In tre anni ne possono capitare di cose. La persona in questione ha avuto tutto il tempo, dopo la nostra unica cena, di mantenere un contatto se ci fosse stato un interesse. Non l’ha fatto. Io neppure appartenendo a quella categoria di donne che amano essere corteggiate e che non si impongono. Nulla. Il caro brillante intelligente uomo non si è fatto più vivo. Avrà cercato sul catalogo altre donzelle.

Non è la prima volta che mi capita un revenant: uno che ritorna in vita dopo anni. Logicamente da un lato mi fa piacere perché significa che, alla fine, lascio un buon ricordo, dall’altro lato mi chiedo quale senso abbia farsi vivo dopo un lasso di tempo così lungo. Nel frattempo non si è trovato di meglio? Quando la solitudine bussa basta sfogliare l’agenda e come i petali di una margherita verificare, uno dopo l’altro, la disponibilità di un numero?

Un tempo se, dopo una cena, una donna ti interessava facevi in modo di mantenere il contatto. Ma ormai con smartphone alla mano manca il tatto e anche l’olfatto e il – buon – gusto.

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Uomini

Goffredo

Non so per quale motivo mi è venuto in mente Goffredo. Stavo distesa a prendere il sole torrido di questa ottombrata dal cielo blu indaco e mi è venuto in mente. Qualcuno sfugge sempre dai miei calcoli e ricordi per riaffacciarsi d’improvviso e senza preavviso.

Ero stata invitata a casa sua un sabato mattina. Di lui sapevo che aveva girato il mondo in barca con la famiglia ed era stato oggetto di un articolo su un quotidiano nazionale. Quando sono arrivata l’ho trovato a pulire il giardino. Era una nebbiosa giornata di novembre. Indossavo una giacca di cuoio foderata di pelo e stivali. Ricordo che lui aveva apprezzato la qualità del pellame perché era il suo lavoro.

Dopo due chiacchiere mi ha detto se gradivo un caffè. Lo gradivo e, quindi, mi ha fatto accomodare in cucina. Goffredo era un bell’ uomo, mi sembra avesse la barba. Indossava un maglione verde bottiglia e mi piaceva osservarlo mentre mi preparava il caffè.

Fu quando me lo mise sul tavolo che arrivò un essere ciondolante in pigiama, anche i capelli scomposti ciondolavano sul viso di adolescente dodicenne. Non fece caso alla mia presenza, come se fosse abituata a vedere una donna sconosciuta seduta nella sua cucina a bere un caffè con suo padre. Io ero allibita: Goffredo, invitandomi, non aveva accennato all’insolita presenza di una figlia tra noi.

Ancora sotto choc fui edotta sul proseguo della giornata: occorreva correre a prendere il sesto televisore. E saremmo andati tutti e tre: l’allegra famigliola.

La dimora di Goffredo era molto grande, mi aveva fatto fare il tour delle stanze, in una saletta si era anche prodigato con effetti a sorpresa: allo schiocco delle dita il camino si era acceso. In sala principale le foto digitali scorrevano facendo vedere una moretta. Probabilmente la madre della ciondolante.

Tornati a casa dopo la compera del sesto televisore, Goffredo si è proposto di preparare il pranzo. Ero seduta in cucina, stranamente sola con lui, quando cominciarono le telefonate delle altre due figlie. ” Ciao papi, dopo veniamo a fare due vasche… bla bla bla”.

Così dopo pranzo, al caffè, immancabilmente mi trovai circondata dalle figlie di Goffredo: tutte e tre più un cocker.

Nel pomeriggio mi trovai in uno studiolo a chiacchierare con la figlia più grande di uomini. Era simpatica e ci intendevamo, Goffredo era sparito, non so a fare che, in qualche ala o palestra o piscina coperta o sala o studio della casa.

Verso le diciannove pensai bene di dire: – Io vado. Fu allora che la figlia adolescente con aria stupita mi chiese: – Ma come? Non resti qui a dormire?

Doveva essere anche quella una consuetudine.

Non volli più vedere Goffredo.