Dolce, sensibile, eccentrica e femmina.

Quattro gustosi aggettivi inviati da chi non m’ha ancora respirato – se non attraverso le parole.

Incredibilmente tanto lontani dall’ultimo giudizio emesso da chi il mio respiro, invece, l’ha bevuto. Direttamente.

Siamo specchi per l’altro. Chi ci vede spesso non vede che la propria immagine amplificata. Così conviene. Simili tra i simili, evitiamo ogni violento sbalzo. Ogni alterità che ci alteri. 

Reagiamo agli impulsi. Con i ruvidi la nostra pelle diventa scabra. Con i morbidi ha texture di pesca. 

Ho il piacere di adattarmi fino a un certo punto. Se mi offrite una sontuosa carrozza sarò signora. Rimarrò signora anche per chi m’ignora, travestita sotto pelle d’asino.

Mai sarò schiava, ancella, sottomessa agli ordini perentori e ai modi bruschi. 

Mai sarò parete che assorbe e non riflette. Mai dama di compagnia per vecchi soli. Mai infermiera per cuori infranti. Mai riempi-buchi, riempi-tempo, diversivo.

Chi pensa di manovrarmi, utilizzarmi, asservirmi si troverà solo tra i suoi balocchi.

Il dolore serve.

A me è servito per scavalcare, andare, scalare, proseguire, imparare, distanziare ogni possibile scheggia di ritorno, ogni pericolo di ricaduta. 

Sono quindi diventata arida? Nessun fiore germinerà più nel mio giardino? Soltanto il più bello quando il tempo sarà propizio. 

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Sempre passa nella corrente, mai la stessa, che nella corrente della vita noi rincorriamo.

Joyce 

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