Angelo

Di una squisita cortesia, sempre in secondo piano – quasi sullo sfondo a mimetizzarsi – rispetto a lei: la star, la prima donna, la divina.

Ti ho conosciuto così quando hai preso il cappello da chauffeur e l’hai portata dove lei avesse voluto. Aprendo la portiera con i guanti bianchi per agevolare la discesa delle gambe e dei tacchi di Miss Universo.

Ti ho visto pagare ogni suo capriccio e entrare/uscire dai negozi coperto di pacchi e pacchettini per Lolita: ancheggiante nel suo ultimo maculato.

Ti ho trovato sempre sorridente anche quando lei era infastidita perché parlavi con la voce troppo alta o mangiavi mostrando denti non perfettamente bianchi e allineati, falsi: come è d’uso oggi.

Lei diceva che eri l’angelo che ti aveva mandato tuo fratello quando era morto. E con le ali leggere sei passato tra noi.

Finché nell’ennesimo viaggio esotico dove lei ti trascinava tu avevi cominciato a non mangiare nulla. Finchè tornato a casa eri sembrato più magro e terreo di quando eri partito. Finché ti hanno portato in ospedale e lì hai lasciato le ali. Hai cominciato a cambiare tono timbro e voce. E le infermiere erano troie. Tu che nemmeno sapevi il significato di quella parola. Finché hai rovesciato il tavolino e ti sei strappato i fili. Finché non ti hanno sedato. Perché non eri più un Angelo. Finché sei entrato in coma. Finché sei morto.

Nella mia memoria tu rimani sempre un angelo passato leggero tra noi umani. Quando eri vivo.

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