E io mi chiedo come faceva tua moglie quando ti serravi nel carapace chiudendo il dorato lucchetto. Come faceva a non provare noia quando ruminavi senza dire parole il povero pasto. Come riusciva a non sbadigliare davanti ai ripetuti monotoni racconti del tuo passato nostalgico. Lei così giovane accanto a te così sempre vecchio. Quando la allontanavi in un’altra stanza davanti al suo apparecchio televisivo perché neppure la scelta di una trasmissione era gradita insieme. Quando programmavi ogni dettaglio del sesso e della villeggiatura: sempre troppa gente nell’arena e voi due mai soli.
E io mi chiedo come abbia potuto sopportarti senza gemiti e fremiti e fughe e piatti rotti e urla. Come abbia potuto stare – per un così lungo tempo – accanto a un monolite, un sasso, una immobile gelida pietra. Come sia riuscita a sopportarti nelle lune e dune e notti e abissi.
Anche se tu l’amavi – tu che amare non sai – lei così assorbente del tuo continuo inchiostro, delle tue nere macchie.
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