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Gioco

Scacco matto

Dal trailer

Non sono una patita di serie. Ho visto la mini serie “La regina degli scacchi” su Netfix appena è uscita, e mi è davvero piaciuta. Brava l’attrice e buona la fotografia e la regia. Ben costruita la storia della bambina orfana che, per caso, impara nello scantinato a giocare a scacchi.

Non ho mai voluto imparare a giocare a scacchi perché non sono una logica e ho scarsa memoria ( nel film la protagonista ricorda e prevede tutte le mosse di una partita proiettandole sul soffitto).

Ho avuto diverse occasioni per imparare, ma non ho mai voluto. Non perché lo ritengo un gioco inutile, al contrario perché lo ritengo uno dei giochi più importanti, difficili e seri.

Ho letto diversi libri nella cui trama c’era il gioco degli scacchi.

Gli scacchi hanno radici lontane rintracciabili nell’India del IV secolo dopo Cristo.

Affascinante gioco, anche solo a livello del materiale ligneo: dalla scacchiera con i suoi quadri bianchi e neri, ai diversi pezzi da muovere secondo diverse direzioni e opportunity di gioco.

Logica matematica, ma anche intuizione. Cervello destro e sinistro. Capacità spaziali matematiche logiche, ma anche analogiche intuitive creative.

Anche stamattina sul Corriere della Sera ho trovato un articolo sul cresciuto interesse rispetto al gioco, anche grazie al successo della serie su Netfix.

L’articolo riportato è invece di qualche giorno fa.

Marina Brunello, la (vera) regina degli scacchi italiana

https://www.corriere.it/cronache/20_novembre_19/marina-brunello-vera-regina-scacchi-italiana-bbf816e4-2a98-11eb-a3fb-78126c23822f.shtml?&appunica=true

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Attimi

Giochiamo

Giochiamo agli indiani?

Per fortuna la voglia di giocare non mi è mai mancata e così mi sono creata la tenda come gli indiani d’America.

Il mio angolo d’ombra, la mia isola privata, il mio campo nudista. Nuda non sto, ma posso allungare le gambe nude al sole senza gli occhi e i binocoli dei vicini.

Uno in particolare che mi cura. Ieri sera sono uscita a smontar la tenda, perché era previsto vento nella notte, ed è sbucato fuori a commentare.

Stare sotto la mia tenda dà una luce e una visuale diversa. Ho il mio tavolino con tutto l’occorrente per la sopravvivenza, ho le mie comode sdraio per allungare il corpo e ho la musica e i libri… e l’ombra perché in montagna il sole batte forte.

È come la casetta fatta con uno scatolone dei gatti e dei bimbi. Un rifugio, una tana, un nascondiglio.

Il mio angolo di paradiso in giardino perché – per chi sa ancora giocare e creare – il poco diventa tutto. E non c’è bisogno di altro.

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Gioco linguistico

La vita bassa

Immagine fotografica di Eletta

Riordinare la libreria può far ritrovare libri e libretti che pensavamo perduti. Oggi ho ritrovato questo piacevolissimo libretto di Alberto Arbasino: La vita bassa edito Adelphi.

Lo ricordavo per il gioco continuo lessicale con elenchi per assonanze, ma anche per preziose note sul senso della scrittura.

Riporto questo gioco che ho ri-trovato ri-leggendolo.

È arrivato un bastimento giovane carico di… griffe, graffiti, gaffe, vaffa, style, stress, strass, strip, stop, spin, slot, loft, soft, flip, flop, hip, hipster, hop, hit, hot, tip, top, gap, trip, trick, trans, trends, test, best, must, cult, suv, suk, slum, punk, pub, hub, rap, sub, club, cool, care, car, change, lounge, loop, look, lock, talk, doc, vip, clip, chip, cheap’n’ blues off-the-road…

Per gioco, perché alla fine sono una giocherellona, ho inserito due parole che non c’erano nel testo originale. Per chi ha voglia di giocare: le sapete trovare?

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Gioco

Il gioco 

Quel giorno le avevano chiesto di inventare un gioco per lui.

Ma che gioco inventare per chi non sa giocare?

Andiamo nel bosco e giochiamo a nascondino? Improponibile. Eppure dieci anni addietro lei aveva giocato con un uomo a nascondino, così come fanno i bambini con quella eccitazione del nascondersi, non esserci, per poi riprendersi e ritrovarsi.

Giocare a rincorrersi sulle scale: io che fuggo sui gradini come una gazzella rincorsa dalla belva che cerca di agguantarmi: le dita protese a pizzicarmi il sedere e io che più fuggo, più rido e perdo le forze. Improponibile. Eppure anche questo era un gioco nella casa settecento con l’altro uomo.

Fare un percorso vita e giocare a chi riesce a stare più a lungo sull’asse di equilibrio? Fare una gara di stabilità in equilibrio. Rifarlo dieci volte, tenere il punteggio. Divertirsi anche per ogni caduta o vittoria. Improponibile ora.

Che gioco proporre a chi non sa giocare?

A chi non sa inventare modificare flettere la propria rigidità adulta per tornare un attimo bambino?

Spargere la casa di bigliettini come in una caccia al tesoro? Ogni bigliettino un indizio che porta all’ultima busta: apri e c’è scritto TI AMO.

Dare un orario preciso per chiedergli di entrare in camera e farsi trovare a letto agghindata nella maniera più sexi e provocante possibile? Ho riposto in cassetti tutto l’intimo di seta pizzi e giarrettiere perché lui non ama la donna vestita. Anche se a noi donne piace così tanto essere gradatamente svestite. Quindi anche questo gioco non è attuabile.

Non si può giocare con chi non sa giocare.

Non è possibile proporre un gioco a chi è staticamente immodificabile.

Il gioco prevede un mettersi in gioco. Un far finta che. Un movimento. Un uscire dal proprio stabile ruolo per immergersi in un tempo ludico senza freni e regole.

Giochiamo a nasconderci sorprenderci svestirci legarci scioglierci scriverci svelarci mangiucchiarci morderci chiuderci aprirci colorarci mascherarci perderci ritrovarci sognarci

Giochiamo a far finta che

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Storie

Io gioco

La psicoterapeuta la guardò sbalordita perché d’improvviso si era alzata dalla sedia e si era accucciata per terra.

– Le piace giocare.

Sì. A Ester piaceva giocare. Era tutta la vita che giocava.

Aveva diciotto anni ed era nera di sole e sale quando le era arrivata una cartolina. C’era scritto nulla. C’era il suo indirizzo marino e nello spazio dedicato ai saluti e baci regnava un assordante silenzio bianco.

Ester non capiva e si era rigirata la cartolina fra le mani, aveva intuito dal timbro la provenienza.

Solo nella luce di mezzogiorno aveva capito.

In mezzo al niveo campo stavano due minuscole parole.

Il piccolo principe aveva cercato chissà dove quelle due formichine nere e le aveva crocifisse lì con un bisturi di colla.

C’era scritto: Io gioco.

Ester aveva un po’ riso e un po’ pianto. Si era stupita addolorata entusiasmata per quel gioco di collage così pieno di ironia.

Il suo fidanzato giocava dunque.

Come risposta al suo tiranneggiarlo e dirgli:

Aspettami sono così giovane e bella e c’è un ragazzo che mi bacia così bene che mi sciolgo nella notte dietro le barche nella risacca non resisto ed è caldo e tu aspettami non ho legami giochiamo un po’ anche se tu ti sei così innamorato e non vuoi che me

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Dove i bambini giocano

Della montagna mi manca il silenzio. Il capriccioso tempo non mi ha permesso ultimamente di andare ed aprire la porta della casa di legno. Eppure tre settimane fa si andava con la maglietta leggera. 

Della montagna mi manca l’odore. Di resina e legno, d’erba e nuvole. Dell’aria frizzantina. Delle bestie mansuete. Dei fiori.

Della montagna mi manca la strada. La strada che porta alla casa di legno è abitata da vicini. Stanno sulla porta, sui muretti, sulle scale a prendere il sole, quando il sole c’è. Perché per mesi, d’inverno, il sole è scomparso dietro l’ombra della vetta e il paesino è rimasto al buio. Ora che è tornato, gli anziani se lo bevono con intimo gusto, chiacchierando.

Oltre a loro, la strada è dei bambini. È loro. Li vedi ovunque, a piedi o in bicicletta. Dai piccolissimi ai più grandicelli. In gruppi, in frotte, a stormi. Le bimbe hanno sguardo di fiera quando passiamo. Non abbassano gli occhi. Tutta la strada è loro. Non solo l’angolino davanti alla loro casa. Tutta. Dall’inizio alla fine. La percorrono in lungo e largo, ci stanno in mezzo, in diagonale, facendo giri a spirale. Se arriva una macchina deve fermarsi. I bimbi non ci badano. Non sobbalzano, non hanno paura. Forse perché lo sanno da sempre che la strada serpentiforme che unisce le poche case della frazione è loro. Forse perché sanno che le madri non hanno ansia a lasciarli andare cinguettando, ovunque. Non stanno alle porte o finestre a controllarli. Le madri hanno messo un segnale, per i forestieri che non sanno le regole vigenti in questo piccolo paese di montagna. 

Le madri hanno scritto: Attenzione: bambini che giocano.