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Gioco Scrittori che amo

Omaggio a Eco

Ritratto di Tullio Pericoli ( web )

Come umile omaggio riporto una sintesi di un suo pezzo, a mio parere, divertentissimo. Incredibili le note chiaramente inventate e che si riferiscono a testi mai scritti da autori reali.

Umberto Eco gioca scrivendo un saggio di critica letteraria sulla filastrocca: Tre civette sul comò.

“La letteratura sulla sestina dell’Anonimo delle Civette riempie ormai non pochi scaffali, sì che lo storico di questa fortuna critica non può esimersi da una certa umbratile peritanza nel consacrarsene dossografo. Ma tant’è, e per quanto cauto e discreto sia l’omaggio ai nostri maggiori, non sarà indarno ripetere qui il testo in cui si sono iscritte tante differenze interpretative, scarno simulacro delle jouissances che vi sono eluse, scrittura e traccia, varco significante, imago, forse fantasma*.

* M. Cacciari, ” Drei Kauze: il comò e la crisi del fallo nel mondo di ieri” in Laboratorio Pielitico, rivista di sessuologia catastrofica, 1,2, 1980

Ambarabà ciccí coccó,

Tre civette sul comò

Che facevano l’amore

Con la figlia del dottore.

Ma la mamma le chiamò…

Ambarabà ciccí coccó.

Di questa sestina esistono non poche versioni in alta lingua, à savoir quella francese:

Ambaraba cici coco,

Trois chouettes qui font dodo

Une fille très à la mode.

En baisant sur la commode

Mais maman cria aussitôt:

Ambaraba cici coco!

Dove si nota la perdita della figlia del dottore, recuperata a livello connotativo attraverso l’allusione a una ragazza di non tradizionali costumi*. Per passare poi all’anonima versione tedesca, non immune da influenze di Hugo Ball e forse, per un orecchio attento e sensibile, dal magistero di Christian Morgenstern.

* Cf. F. Alberoni, “Amore e movimento sul comò”

Il testo continua con esilaranti traduzioni in tedesco e inglese. Per chi non lo conoscesse e vuol goderne a pieno rimando al libro: Umberto Eco, Il secondo diario minimo, Bompiani

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Scrittori che amo

Joyce floreale

Questo il periodo di Joyce:

” Arrabbiata tulipani con te caro uomo fiore puniró il tuo cactus se tu non accontenti la tua povera non ti scordar di me che voglia matta ho di violette al caro rose quando presto anemoni ci vedremo ragazzaccio belladonna profumo di moglie Martha”.

A pagina 78 Joyce nell’Ulisse (edizione Mondadori) gioca con i fiori e vegetali vari.

Tutto il periodo è senza punteggiatura e assai bislacco nella costruzione sintattica, direi che possiede un ritmo jazz.

Mi sono divertita a rielaborarlo. Il testo era troppo appetitoso.

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Furente orchidea con te piccolo maschio vischio levigherò il tuo muschio se tu non accarezzi la tua timida mimosa che desiderio sfrenato ho di petunie al viso e viole quando macino girasoli ci ritroveremo novello biancospino.

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“L’ironia di Joyce controlla saldamente un’intera galassia di strategie, atteggiamenti e bizzarrie verbali, nuove, eccessive, derisorie, selvagge, scatenate, tenere e liriche”.

Richard Ellmann

Ho scoperto e letto e riletto Joyce nel 2011. Penso che l’Ulisse di Joyce sia un libro da leggere per chi scrive. Poi lo si può amare o odiare, ma non ignorare. Io l’ho amato e mai mi sono tanto divertita.

Voi lo amate, odiate o ignorate?

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Scrittori che amo

Jorge Luis Borges  

Ci sono autori che regalano incantamenti.Uno di questi è, per me, Jorge Luis Borges.

Ogni tanto ho bisogno delle sue parole medicamentose: per questo leggo.

Il brano, che ho letto oggi, parla di un libro scritto come un labirinto. Una narrazione che contiene tutti i possibili. La possibilità di amplificare invece che di restringere.

La scelta è sempre un’eliminazione di tutte le altre possibilità. Lo sanno bene i veri creativi che riescono a contemplare più possibilità di scelta, anche attraverso il pensiero divergente. Non lo sanno i rigidi razionali che contemplano una sola possibilità.

A volte ho la sensazione che ci precludiamo strade per ristrettezza mentale e cecità. Quanto benessere in più ci potremmo regalare solo ampliando di qualche grado la capacità d’abbraccio dello sguardo. Imparare a dire e/e invece di o/o.

Ecco cosa scrive Borges:
“Prima di ritrovare questa lettera, m’ero chiesto in che modo un libro potesse essere infinito.

Non potrei pensare che a un volume ciclico, circolare: un volume la cui ultima pagina fosse identica alla prima, con la possibilità di continuare indefinitamente.

Mi rammentai anche della notte centrale delle Mille e una notte, dove la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista) si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un’altra volta alla notte in cui racconta, e così all’infinito.
(…) Mi colpì la frase: Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano.

Quasi immediatamente compresi; il giardino dei sentieri che si biforcano era il romanzo caotico; le parole ai diversi futuri (non a tutti) mi suggerirono l’immagine della biforcazione nel tempo, non nello spazio.

Una nuova lettura mi confermò in quest’idea.

In tutte le opere narrative, ogni volta che s’è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pén, ci si decide – simultaneamente – per tutte.

Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano”.

Per effetto di uno strano sincronismo ecco cosa ho appena letto in : L’ombra del vento di Carlos Luiz Zafón.

” Seguimmo il guardiano fino a un ampio salone circolare, sovrastato da una cupola da cui scendevano lame di luce. Era un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri. Un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme, impalcature. Una gigantesca biblioteca dalla geometria impossibile”.