
L’affinità elettiva. Un sentire “insieme” sintonico. Essere in profonda comunicazione. Al di là delle parole. Un’intimità viscerale e radicale.
L’ho provata, almeno una volta in vita con un partner. È stato davvero magnifico. Parlare la stessa lingua, sentire le medesime emozioni. Stupirsi e gioire insieme: per una camminata in mezzo alla natura, per un concerto di musica classica, per una visita in un museo o in una città d’arte. Essere due, ma diventare un terzo essere. Ricreare l’unità perduta.
Il tipo era, è, un architetto. Avevamo lo stesso gusto per le forme e i colori. La sua preparazione si univa alla mia nella creazione estetica e abbiamo progettato e portato a termine due creature nostre.
Pareva tutto rose e fiori. L’uomo aveva un quoziente superiore alla norma – così mi ha confermato lo psichiatra. Peccato che lo psichiatra mi ha anche confermato che se non mi fossi allontanata da lui sarei morta: mi avrebbe ucciso.
Genio e follia spesso vanno di pari passo. Da allora non ho più avuto il piacere di vivere una affinità elettiva con altri. Niente gallerie e mostre d’arte, niente concerti da assaporare piano, niente conversazioni sui temi che prediligo. Ho vissuto da sola ogni emozione, stato d’animo e sentimento.
Avevo trovato ultimamente un’amica che credevo potesse diventare una a cui dire e con cui condividere. Così pareva all’inizio: andremo faremo…
Ha preferito mettere al primo posto i suoi infiniti impegni professionali senza mai lasciar spazio a un caffè o una tazza di the. O a un teatro. Cinema. Concerto.
Mi manca davvero molto un referente con cui condividere quello che sento e che provo. Mi manca l’altro elemento chimico con cui crearne un terzo.
Per questo scrivo e pubblico qui e altrove: per gettare onde che trovino risonanza. E, francamente, trovo più risonanza qui con perfetti sconosciuti, che nella vita reale e quotidiana.
Per questo ringrazio di cuore tutti quelli che, leggendo quello che scrivo, riescono a dare nuovo impulso alle onde emozionali e creare un moto.
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