Capita, pulendo la posta elettronica, d’incontrare fantasmi.

Non hanno un volto riconoscibile: solo parole.

Prima di gettarle – appallottolate nel cestino virtuale – mi piace riportarle.

Sono sonore, hanno echi profondi.

Meglio i fantasmi a volte. Creature che sono passate  lasciando mazzi verbali fragranti sulla mia porta.

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Non è vero.

Io ci sarei. 

Così come ti ho atteso, vanamente, a mezzodì dell’ultimo giorno dell’anno passato.

Ho ricevuto la tua moneta, è nella mia scarsella. La conservo.

E vieppiù m’inquieta l’averti fuggito allora, sbaragliato dal timore di non sapermi ritrarre per tempo dal gioco della seduzione. 

Tu. Improvvisamente.

L’errore incorreggibile mentre andavo vergando il mio tema ludico: approccio discreto, lenta insinuazione, rapida induzione, autocompiacimento, esperimento dei sensi, evanescenza, oblio.

L’errore strideva, e mi presagiva l’unica nota intonata in un pentagramma dissonante.

Inaspettata, imprevista, destabilizzante.

Ho sviato il pensiero, ma la tua immanenza ha inesorabilmente prevalso sopra ogni rigurgito di ignavia.

Le parole non giocano per me, né io gioco con loro. 

Sono un mezzo, tu sei il fine.

Un attimo, un’ora, di più … non chiedere quanto. Ma sia.

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È vero: sono sensibile alle parole. Sono loro il mio vero e grande amore. Sarò sempre grata a chi le sa confezionare per inviarle in fragranti coloratissimi mazzi.

Anche se lo scrivente non è altro che un fantasma, un incorporeo, un senza volto.

Nella mia terrena vita mi sono innamorata grazie alle parole. Una lettera calligrafica mi dà più piacere di un diamante. Divengo amante di chi mi scrive scegliendo accuratamente il ritmo, il suono, il senso. Sarò sempre grata a chi sa scrivere bene.

L’estetica della scrittura mi cattura nella ragnatela affettiva più di un discorso compiuto a voce.

Chi mi vuole prendere, ri- prendere è avvertito. Che si aprano le danze.