
Questo è un ritratto che ho fatto a un mio amore. La data è 2008. Dodici anni fa. Dopo di lui non ho più detto: ti amo.
In ogni mio rapporto c’è stato un ritratto del mio compagno. Come se fosse imprescindibile fissare su carta il suo volto.
Se vado a memoria penso di averne ritratti almeno cinque. O sei. Chissà. Sono un po’ approssimativa nei ricordi.
Comunque: qualche ritratto è rimasto a me. Qualcuno è stato donato al mio lui di turno.
Fare un ritratto significa entrare.
Per fare un ritratto occorre non soltanto guardare a lungo il viso della persona, le linee ombre proporzioni forme, significa soprattutto vedere.
Vedere quello che è dietro la forma visibile. Un buon ritratto è anima.
Anch’io sono stata ritratta soprattutto ai tempi della Accademia. In particolare ricordo il ritratto che mi ha fatto il mio Maestro di pittura. Inquietante la scabrosa osservazione. Mi sentivo spolpata indagata cercata e scovata. È durato due ore. Senza respiro. Non me lo ha dato: diceva che non lo avevo lasciato entrare. Non mi aveva colto.
È difficile fare un buon ritratto. È difficile farsi fare un buon ritratto.
Non basta stare fermi. Occorre anche essere nella disposizione d’animo del lasciapassare all’indagine. Chi siamo veramente?
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