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Attimi

Un amore sconvolgente

Immagine grafica di Eletta Senso

Chi non sa amare, o semplicemente non vuole amare, nulla sa dare e si giustifica e si nasconde dietro l’impossibilità di avere e vivere ancora un amore sconvolgente.

Un amore sconvolgente può capitare, per i più fortunati, una volta nella vita. Tutto il resto è altro.


Quando un amore è sconvolgente tutto va a scatafascio: tremano le gambe, la salivazione si azzera, non si dorme la notte. Tutto il pensiero è per lui/lei. Non c’è raziocinio ragionamento logica calcolo: c’è l’impero del pathos. L’amato o l’amata è al primo posto nei nostri pensieri. Viviamo di sole emozioni. Facciamo di tutto per non perdere l’altro perché in quel momento l’altro è tutto.


Se abbiamo avuto la fortuna di vivere – almeno una volta nella vita – un amore sconvolgente sappiamo che poi – dopo questa esperienza unica – c’è tutto il resto.

Dopo i rapporti sconvolgenti franati distrutti annientati, dopo anni di solitudine magari si incontra una persona.

Non è esattamente il nostro ideale: non è la musa, la fata, l’adone, il maestro, l’intellettuale, la bellezza mozzafiato, lo chic, il glamour, l’eleganza, la galanteria.

Incontriamo un essere umano “normale” che però ci piace per alcune caratteristiche: amiamo perciò l’idea di averlo vicino. Di non perderlo comunque perché preferiamo essere in coppia con questo/a lui/lei che essere soli.


In tale caso, contesto, situazione esistenziale reale realistica è bene fare in modo di regalarsi vicendevolmente del bene. Di lavorare per stare bene insieme.

Se è proprio lei/lui che vogliamo tenerci vicino un po’ di lavoro dobbiamo per forza farlo: cortesia comunicazione condivisione ascolto rispetto tenerezza calore attenzione vicinanza. E tutto il corollario. Nulla viene regalato perché stare con una persona non è come prendersi un cagnolino o un gattino.


Se qualcuno non desidera fare un lavoro per stare in coppia esattamente con quella persona che piace… può prendere un qualsiasi passante, un uomo o una donna qualsiasi e ottenere comunque il risultato di avere una persona vicina. Se manca un pizzico di voler bene tutti i pezzi sono intercambiabili. Si sta insieme per opportunità per convenienza per interesse per soldi.


Se invece desideriamo avere vicino proprio quella donna lì o quell’uomo lì dobbiamo mettere cura nel rapporto. Dare. Per ricevere. È un circolo di attenzione e cura reciproca un rapporto affettivo, anche se non è un amore sconvolgente.

Questo è un testo che avevo già scritto anni fa. Lo ripropongo perché mi pare proponga spunti interessanti di discussione. Quindi: chi vuole dica la sua.

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Attimi

Casa di bambola

Ho già scritto di mio padre e delle sue casette per gli uccellini.

Ecco un suo lavoro artigianale: ieri l’ho pulito con cura dalla polvere del tempo.

Questa casetta è stata fatta da mio padre – nei suoi ultimi anni – per mia figlia, allora piccola.

Pulendo e togliendo tutti i piccoli mobili sono stata assalita da emozione: ogni piccola sedia ricoperta di velluto rosso, ogni armadio e tavolino… emana la cura e l’amore di mio padre.

Il gancio apre l’interno con quattro stanze: soggiorno, sala da pranzo, studio e camera da letto. Alle finestre tendine in pizzo e sotto i tavoli, tappeti ( suppongo l’aiuto di mia madre)…

Alle pareti piccoli quadretti con fotografie di mia figlia e una mia.

Quanta cura dei dettagli. Quanto tempo e pazienza nel creare con legno, colla, colori questo piccolo scrigno domestico.

Quanto amore. Lo stesso amore che metteva mia madre nel cucinare deliziosi piatti, mentre mio padre – fischiettando – con le sue grandi mani riusciva a creare un piccolo mondo di bambole nel suo laboratorio dove c’era odore di ferro e legno.

Mio padre quando è andato in pensione, dopo una vita di lavoro, non ha mai smesso di lavorare creando oggetti, aggiustando cose rotte, dedicandosi alla coltivazione di verdura e frutta nel suo grande orto. Mio padre dipingeva ad olio.

Sarebbe andato d’accordo con il mio vicino di casa che è sempre nel suo scantinato a creare e lavorare… Recupera vecchie e antiche radio rendendole funzionanti. Non dimostra l’età che ha perché è sempre attivo e sorridente.

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Amore,

Uniti è meglio

Oggi, nella passeggiata boschiva, ho visto questi due alberi uniti in un abbraccio sensuale.

Uscendo più tardi dal negozio con la mascherina ho provato un senso di straniamento. Come se fossi in un film di fantascienza. Mi sono resa improvvisamente conto che non è “normale” entrare e uscire da un negozio con la mascherina sulla bocca. Mi sono resa conto del momento davvero straordinario – perché fuori dall’ordinario – che stiamo vivendo. Un momento, che ormai dura sette mesi, di esistenza sempre sul bilico di un burrone, di una voragine, di un orrido…

Uniti è meglio. Vicini a chi amiamo. Dobbiamo economizzare le nostre forze e non sprecare un solo grammo di energia.

Questi due tronchi così vicini, così abbracciati, così forti nell’essere “insieme” mi ha richiamato l’importanza dell’amore filiale materno familiare affettivo. Stiamo vicini a chi amiamo per sorreggerci insieme.

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Attimi

Ti voglio bene

Ti voglio bene.

Cioè? Voglio il tuo bene o voglio te?

Ho bisogno di te o soddisfo i tuoi bisogni?

Ti desidero perché ti trovo bella o ti desidero perché non ho più alcun desiderio: neanche di vita.

Una volta pensavo di sapere cosa voleva dire: ti voglio bene. Ora non più.

Dopo relazioni dolorose dopo aver dato dato dato e non aver ricevuto che sputi assenze insulti disattenzione abbandoni dimenticanze prepotenze… mi spiace… Ti voglio bene non ha più alcun significato per me.

Non credo più. Ci vuole fede anche per credere nell’amore. Non solo in dio.

Amo mia figlia. Questo sì. Chi è madre può capire. È un amore assoluto. Forte.

Non credo più nell’amore tra me e un uomo. Perché troppo ho creduto e poco ho ricevuto.

Uomini che mi hanno lasciata sola troppe volte eppure chiedevo presenza.

Uomini che hanno detto: è per sempre ma poi si sono dimenticati della promessa.

Uomini che mi hanno “usata” come segretaria cuoca moglie madre colf dog sitter amante e puttana. O da portare in giro per mostrare che razza di donna si erano conquistati. Come si porta in giro un bell’esemplare di cane di razza.

Uomini confusi delusi femminili fragili deboli sterili piagnucolosi isterici incapaci di rispetto e dialogo.

Stanno inaugurando il nuovo ponte di Genova. C’è voluto molto lavoro: giorno e notte per creare un nuovo ponte. Nelle coppie, poche, che funzionano c’è un ponte che si costruisce ininterrottamente giorno e notte: sempre e nel quotidiano.

Ascolto rispetto dialogo: questo il lavoro. Ascolto della diversità dell’altro vuol dire accogliere ogni richiesta con rispetto. Accogliere le richieste è solo una questione di cortesia. La cortesia è la base di un rapporto.

Non ama chi pretende senza nulla dare.

Non ama chi non fa un quotidiano duro lavoro per uscire dal proprio ristretto EGO per l’altro.

Non ama chi risponde solo e sempre ai propri bisogni desideri voglie e vogliuzze senza prendere in considerazione mai i bisogni i desideri le voglie e vogliuzze dell’altro.

L’ultimo partner che ho avuto amava dire: avete voluto la parità? Pagate.

Questo lo esimeva dall’offrire un pranzo o una cena. Fino al punto da voler pagare alla romana anche se quello che consumava era il doppio di quello che mangiavo io. Non c’è fine alla idiozia. Mia, che pagavo come una cretina anche i suoi infiniti boccali di birra e le sue costate.

Non c’è parità: siamo sostanzialmente diversi. L’uomo non è uguale alla donna così come un gatto non è uguale a un cane.

Come donna mi ha sempre fatto piacere ricevere quei piccoli deliziosi gesti di galanteria ( parola antica ) come ricevere un mazzo di fiori o un invito a pranzo o cena o una sorpresa. Come donna ho sempre amato cucinare deliziosi piatti per il mio uomo o curare la casa. A mio marito ogni sera preparavo gli abiti per il giorno dopo con la camicia abbinata alla giacca alla cravatta e ai calzini. Lui era grato e ricambiava con piccoli lavoretti in casa di idraulica o aggiustando guasti elettrici.

Volersi bene vorrebbe dire: darsi una mano nella nostra diversità. Ho incontrato molti uomini che non si sono sentiti fuori tempo nell’offrirmi cene o fiori. Non ho mai aperto il portafoglio.

Ho conosciuto donne che non si sentono fuori tempo, o sminuite, nel cucinare per il proprio amore. Ultimamente vedo anche uomini che non si sentono “fuori” perché fanno il “mammo” cioè accudiscono i figli e magari cucinano meglio della moglie.

Quando un uomo e una donna si vogliono bene non ci sono barriere di ruoli. Ciascuno fa, con amore, quello che meglio sa fare per l’altro e viceversa. L’obiettivo è stare bene. Senza serve o servi.

Per stare bene in coppia occorre volersi bene. Un uomo che offende la sua donna, che non la coccola, non la vede, non fa mai nulla per lei… semplicemente non le vuole bene.

Meglio non perdere tempo con uomini così. Ci rimane sempre l’amore per i figli, se ne abbiamo e anche l’amore per se stessi: da soli.

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Amore, Coppia

Amore

( Immagine fotografica di Eletta Senso )


Sono sempre felice di incontrare belle coppie perché amo l’amore.

Quando ho conosciuto Rita e Riccardo ( metto sempre nomi fasulli ) mentre prendevamo un aperitivo ho chiesto:

– Ma voi da quanto tempo siete insieme? Venite da separazioni o divorzi precedenti?

Con mia grande sorpresa lei mi ha risposto che sono insieme, legati in matrimonio, da venticinque anni.

Che cosa mi faceva pensare il contrario?
Il sorriso
i gesti
l’armonia
l’intesa
l’affettuosità
il rispetto.

Parevano, e paiono, due innamoratini freschi.

Mi chiedo sempre quale alchimia li leghi.
Forse semplicemente l’incontro dell’altra metà della mela.
Forse l’attenzione e la cura reciproca.
Forse l’equilibrio nel dare/avere che hanno trovato.
Lui è introverso e un po’ cupo, lei estroversa e sorridente.
Ieri lei portava un anello strepitoso che lui le aveva regalato per l’ultimo compleanno:
“Ditemi quanto tempo e denaro siete disposti a spendere per una persona e io vi dirò quanto è importante per voi”- Jung

In vita mi è capitato una sola volta di avere espressa palesemente la stessa ammirazione per la mia coppia. Eravamo in un bar. Allora ero con il mio ex compagno che, fisicamente, era proprio un ragnetto piccolo e apparentemente insignificante rispetto alla mia altezza e bellezza ( stiamo parlando di più di dieci anni fa ). Eppure la ragazza che ci serviva ogni giorno la colazione ha esclamato:

– Posso dirvi una cosa: siete proprio una bella coppia!

La dichiarazione ai tempi mi ha davvero fatto molto piacere.

Che ci piaccia o no, noi emaniamo. Luce o tenebra. Cura o indifferenza. Amore o abitudine. Generosità o egoismo.

Una “bella coppia” non è soltanto formata da due persone esteticamente belle. Ma da due persone, anche fisicamente agli antipodi per quanto riguarda il lato estetico, ma belle dentro.

Voi formate con il vostro partner una bella coppia? Vi è mai capitato di sentirvelo dire?

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Storie

Enrico


( Immagine grafica di Eletta Senso )


Per quale intricato percorso, mentre Elisa era a letto nuda dopo l’orgasmo, Enrico gli fosse venuto in mente, non le era chiaro. Aveva solo pensato che non c’era più e il ricordo era lontano e un po’ sbiadito dal tempo. Ricordava solo il fuoco e il soffitto che scendeva. C’era il fuoco acceso nel camino che donava una luce rossastra alla stanza utero con quel grande paracadute a scendere come medusa dal soffitto. E c’era un fuoco nel suo corpo così acerbo mentre Enrico la baciava e baciava. Ricordava la morbidezza del languore caldo mentre stava distesa accanto a lui che la baciava. Enrico era molto alto e molto magro. Elisa era molto giovane e non sapeva. Sentiva questo caldo fuori e dentro e lì sarebbe rimasta per sempre se Enrico non si fosse fermato e staccato.
– Mi devo fermare.

Erano usciti nel freddo della sera e lui la aveva accompagnata a casa.

Alcune sere lei riusciva a uscire fingendo impegni inesistenti con i genitori. Venerdì sera era di nuovo uscita sperando di vedere la macchina di Enrico rispuntare. Sperava di tornare nell’utero caldo tra le sue braccia ossute. Lui non c’era. Era arrivato Gianni il suo amico.
– Perché non c’è Enrico?
Gianni era stato zitto. Pareva pensieroso, lui che scherzava sempre.
– Ti ho chiesto perché non c’è il tuo amico stasera.
A malavoglia Gianni aveva biascicato che Enrico non aveva voglia di uscire quella sera.

Elisa era rimasta male. Le importava dei baci e quella sera non ne avrebbe avuti.
Ai genitori diceva che andava in comunità e loro erano tranquilli. Gesù e volersi bene. Tutto a posto. Era in comunità che Elisa aveva conosciuto Mauro. Un bellissimo ragazzo che credeva in Dio e parlava bene. Era il leader nella comunità.

Mauro non l’aveva ancora baciata, ma si capiva che Elisa gli piaceva. Quando stavano vicino seduti nel cerchio della comunità lui guardava solo lei.

Dopo una settimana venerdì sera era uscita a piedi con sua sorella per andare in comunità, per strada sperava  di vedere spuntare la macchina di Enrico. Invece era arrivato Gianni con la sua bella auto rossa. Le aveva fatto segno:
– Ti devo parlare.
Così Elisa era salita in macchina. Non capiva cosa volesse Gianni da lei.
E lui aveva detto:
– Enrico stasera è andato a parlare con Mauro.

Una lieve vertigine. Non capiva: cosa stava dicendo? Che c’entrava Enrico con Mauro? Neppure si conoscevano.
Gianni aveva continuato:
– Enrico si è preso una sbandata per te. È andato da Mauro a parlargli. Vuole sapere se ha intenzioni serie con te. Se è così ti lascerà in pace.

Elisa con i suoi acerbi diciassette anni non capiva. Era disorientata. Poi Gianni le aveva dato un foglio dove la scrittura di Enrico piangeva e cadeva giù. Un foglio stropicciato e pieno di segni che non riusciva a decifrare.

Così quel pomeriggio dopo aver fatto sesso con il suo partner, nuda nel letto, Elisa non riusciva a capire cosa avesse evocato il ricordo di Enrico. Forse il ricordo dei baci e baci. Forse il ricordo di lui che si era fermato per non fare male ai suoi diciassette anni così puliti e ingenui. Forse il suo amore che non aveva capito allora e che solo dopo sarebbe rimasto il più forte gesto d’amore e rispetto che aveva avuto fino a quel momento. Nessuno mai più aveva così silenziosamente lottato, sfidando il rivale, per averla. Nessuno mai più.

Enrico ora non c’era più per dirgli:
– Grazie.
Enrico era morto  in un incidente d’auto con sua moglie: stava seguendo una gara ciclistica per lavoro una domenica di vent’anni prima. Doveva fare il suo reportage giornalistico.
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Psiche

Perdersi esporsi

L’amore implica sempre l’esperienza dello scavalcamento di un limite, l’oltrepassamento di una soglia, il dispendio di se stessi. Non è solo un ritrovarsi, come fa intendere la metafora armoniosa che Platone propone nel Simposio per bocca di Aristofane, delle due metà che si ricongiungono superando la divisione inflitta loro da Zeus, ma è anche un perdersi, un esporsi in modo assoluto – senza riserve – all’incognita del desiderio dell’Altro.

Per questa ragione la vera libertà non è – come pensa la nevrosi – evitare il legame con l’Altro affermando la propria autonomia, ma è saper riconoscere la nostra insufficienza e la nostra dipendenza dall’altro.

Non consiste nel vivere senza l’Altro perché questo è il sogno profondamente narcisistico e perverso di ogni nevrotico.

Piuttosto la vera libertà implica il legame con l’Altro come ciò che apre la mia vita all’incognita ingovernabile del desiderio.

Cancellare la dipendenza simbolica dall’Altro non rende la vita indipendente ma la mutila, la arrocca su se stessa, la riduce a una fortezza vuota”.

Da: Non è più come prima – Elogio del perdono nella vita amorosa – Massimo Recalcati

Eccomi qui. Ieri ho avuto una seria crisi nervosa.
Non c’è peggior cosa, per me naturalmente, che non essere ascoltata.
Così come c’è una bella differenza tra guardare e vedere, così c’è una bella differenza tra udire – le parole che uno dice – e ascoltare.

Per me, che pongo la comunicazione al primo posto nella relazione interpersonale, ascoltare significa ascoltare col cuore. Profondamente.

Ascoltare una persona che apre il suo cuore e pone un’analisi, naturalmente soggettiva, rispetto a delle cose basilari da modificare per il benessere di una relazione, significa accoglierle, prenderle in serio esame e poi, ribattere dicendo il proprio punto di vista.

Non c’è cosa peggiore del silenzio. O della negazione. Come se l’altro non avesse neppure parlato. Come se certe istanze poste non fossero arrivate neppure all’udito, al cervello, al cuore.

Non è possibile continuare a dire all’altro che determinati comportamenti portano malessere, sofferenza. Non è possibile chiedere all’altro di tener conto e trovare solo e continuamente – dall’altra parte – una perenne giustificazione del proprio modus operandi e mai, proprio mai, un prendere in considerazione l’ipotesi di cercare di modificare un comportamento su cento. Almeno uno.

Qui viene necessario interrogarsi su alcuni punti: primo- è possibile cercare di modificare un proprio comportamento?
Attenzione: non ho scritto ” modificare un proprio comportamento”, ma almeno “cercare, con fatica, di modificare un proprio comportamento.

Nella mia vita mi è già successo di sentirmi dire che il partner che avevo scelto era affetto da un disturbo narcisistico della personalità e che l’unica soluzione era allontanarmi da lui il più presto possibile. Me lo ha detto uno psichiatra che lo aveva visto.
Così ho fatto.

Dopo questa esperienza: lasciare un progetto di coppia faticosamente costruito, perché stare con un uomo affetto da questo disturbo narcisistico non è francamente sopportabile, mi ritrovo con una persona che non considera minimamente la possibilità di modificare il proprio comportamento per il benessere della coppia e della relazione.

Stare in coppia è un adattamento continuo. Non è semplice. Lo testimoniano i divorzi e le separazioni sempre più frequenti.
Per stare in coppia occorre uscire dal proprio Ego e considerare il bene dell’altro. Perché voler bene è volere il bene dell’altro.

Se una persona non riesce a fare questo salto e considera sempre e solamente i propri bisogni interessi desideri istinti senza mai prendere in considerazione i bisogni interessi desideri istinti del partner, semplicemente non ama. Non vuole bene.

Ho imparato, nel tempo, ad abbassare l’orgoglio e ho imparato a chiedere, a dire: cosa mi manca, cosa desidero, cosa mi fa soffrire. Se – dette queste cose – l’altro non ha mai nulla da dire, se non continuamente giustificarsi: ho fatto così perché tu, è colpa tua se, io sono fatto così: prendere o lasciare… rimane un campo di azione?

Non mi fa saltare i nervi litigare. Mi piace discutere, ascoltare un punto di vista diverso, argomentare. Quello che mi fa saltare i nervi è l’indifferenza, la mancanza di risposta, di interlocuzione. Il silenzio: come se nulla fosse stato detto.

Se una persona comunica che sta male a causa nostra, almeno si può – e si deve – fare la fatica di capire cosa ci sta dicendo e, insieme, trovare una modalità per uscire dalla crisi. Naturalmente se stare in relazione con quella persona ci interessa. Ho riportato le riflessioni di Recalcati, tratte dal suo bel libro sull’amore, perché sono convinta che un po’ di fatica occorre farla per scavalcare quel limite, oltrepassare quella soglia del proprio Ego narcisistico per vedere ascoltare amare l’Altro.

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Attimi

Osavo

Con lui osavo essere bambina e giocare inventare creare.

Mi è venuto in mente qui in spiaggia accanto al mormorio delle acque del rivo. Ho visto la struttura della tenda e subito ho ricordato.

Andavamo spesso nello stesso luogo a fare un pic nic. C’era un tavolo di legno su cui lui aveva inciso le nostre iniziali. Lì pranzavamo dopo aver letto e disegnato. Il problema era il dopo pranzo: io ho bisogno di riposare un po’. La panca non era proprio un sofà. Per questo mi sono man mano organizzata. Lenzuola vecchie e scolorite, mollette da bucato, corda, forbici.

Il primo giorno che ho messo in atto il mio piano, prima di pranzo ho cercato dei lunghi rami o piccoli e snelli tronchi nel bosco e li ho accatastati vicino al tavolo. Lui non capiva, ma mi lasciava fare. – Vedrai – dicevo.

Poi ho preso dal baule della sua verde macchina il resto. Ho legato con lo spago i tronchi e rami fino a creare lo scheletro, la struttura, su cui poi ho posto le lenzuola fissando con mollette le giunture. Ho lasciato un varco per entrare nella tenda. Sotto, un materassino morbido.

Da quel giorno dopo pranzo entravamo nella tenda a dormire o fare l’amore. Le lenzuola verdi rosse e blu colpite dal sole creavano una luce soffusa da favola.

P.s. A casa dovrei avere un’immagine fotografica della nostra piccola tenda d’amore. La metterò.

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Amore Psiche Sogno

E poi

30032013-scrivere

La cosa strana dei così detti “amori” è che passano.

Si desidera, ci si dispera, si attende, si sta con il pensiero fisso – su lui o lei – per ore giorni mesi settimane; si impiega tutta la nostra energia vitale su quell’unico focus dimenticando, o mettendo in secondo terzo quarto piano tutto il resto e poi…

E poi tutto passa trascolora si muta defluisce si trasforma perde colore e sostanza. Non c’è più nulla. Lui o lei, un giorno, non ci interessano più. Eppure quanta passione c’era.

A volte i fantasmi di un amore tornano nei sogni notturni, prendono sangue e vita un attimo, giocano il loro antico ruolo accanto a noi com’era un tempo. Tutto nel paesaggio onirico sembra immutato finché le prime luci dell’alba cancellano il ricordo versandolo nella lattiginosa materia dell’oblio.

P.s. ” com’è possibile che tu abbia amato così tanto una persona, che tu abbia sofferto così tanto per lei, che tu abbia riso così tanto con lei e che ora tu sia così lontano da lei?”

Da: La regola dell’equilibrio – Gianrico Carofiglio

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Storie

L’uomo dal colbacco

La neve abbondante mi ricorda un inverno di molti anni fa. Lo avevo lasciato nel pomeriggio. L’uomo barbuto con il colbacco arrivato da Mosca.

Troppo aveva tirato le redini e la puledra era galoppata via.

Così ero da un’amica in città. La neve non aveva smesso da giorni e ormai tutto era siberiano. Verso le sette di sera suonò il campanello. L’uomo dal colbacco nero suonò il campanello della mia amica dicendole che io dovevo scendere. Non volevo scendere. Lui aspettò per ore. Era un monolite nero nella distesa bianca.

– E adesso come faccio? Devo tornare a casa.

– Puoi restare qui a dormire, se vuoi – disse la mia amica.

Pensai al mio letto. Non avevo proprio voglia di dormire fuori. La mia auto era nel garage. Trovammo l’espediente di far scendere la mia amica a parlare con lui, mentre io uscivo dal garage velocemente. E andavo via.

Velocemente era un eufemismo perché a quel tempo e in quei giorni la mia auto faceva le bizze e non si sa perché singhiozzava.

Comunque così facemmo.

Non dimenticherò mai, ma proprio mai, cosa successe dopo. Rivedo la scena come in un rallenty. Uscii dal garage, lui si accorse e cominciò a inseguirmi nella strada deserta e bianca di gesso. La mia auto singhiozzava e andava pianissimo e lui con passi pesanti cercava di aprire la porta e urlava: – Fermati. Ma io non mi fermavo. Ero in fuga nonostante il veicolo recalcitrante. Decisa ad andare a casa.

Babu era un uomo alto, indossava un cappotto nero e il colbacco. La neve scendeva a larghe falde sulla sua corsa e la mia.

Non so come riuscii a sfuggire dalle sue grinfie e ad arrivare nel mio caldo letto.

La mattina successiva mia madre trovò, aprendo la porta, un enorme cumulo di neve proprio davanti all’uscio. Sotto c’era una sua lettera.