Ero in uno dei miei soliti periodi di metamorfosi. La ragazzina con la margherita tra i capelli era stanca del fotografo che oscillava come un pendolo. I Nodi di Laing mi avevano stancato.
Quando lui venne a cercarmi non mi trovò. Entrata in Accademia scrutavo l’elenco per capire in quale classe ero stata assegnata e il nome del mio professore di Arte. Mi sentivo così persa tra le scalinate e i grandi saloni.
Quando presi posto al cavalletto e vidi il mio Maestro pensai fosse un dio. Era un uomo bellissimo. Pelle bianca e soda come il marmo, capelli lunghi color del sale e sole. Occhi di ghiaccio.
Mi sentivo piccola e insignificante. Una povera derelitta finita per sbaglio sull’Olimpo.
Quando il Maestro si avvicinava per correggermi il lavoro sentivo il suo profumo. Chanel. Sicuramente. Il suo corpo alto e massiccio mi faceva ombra.
Non mi ricordo a quale punto della metamorfosi lui si accorse di me. Non mi ricordo quale sottile vibrazione seduttiva io – d’improvviso o progressivamente – avevo messo in atto per colpirlo.
A metà lezione c’era una pausa di intervallo. Iniziò a invitarmi a bere un caffè fuori tra le strade di Brera. Portavo un rossetto rosso. Quando mi rapiva per baciarmi nei portoni non ne rimaneva traccia.
Nella sua casa – all’ingresso spade da scherma e un forte odore di vernici a olio – sta arrotolato il ritratto che mi fece. E in uno dei suoi cassetti stanno alcune mie foto: quando posavo per lui indossando solo un paio di scarpe rosse col tacco alto. Ero diventata la sua modella e amante.
( Rielaborazione grafica di Eletta Senso )
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