Ho messo un po’ a posto i libri che sono sulla panca nella stube. Ho ritrovato Dovunque tu vada, ci sei già di Jon Kabat-Zinn.
L’ho aperto a caso:
Rivolgersi all’interno
Dimorare tranquillamente in noi stessi ogni giorno, anche solo per breve tempo, ci permette di prendere contatto con ciò che di più reale e affidabile alberga dentro di noi e che più frequentemente viene trascurato…
Quando riusciamo a rimanere concentrati su noi stessi, anche per brevi periodi, di fronte agli stimoli mondani esterni senza sentire la necessità di rivolgerci altrove per qualcosa che ci completi o ci renda felici, possiamo sentirci come a casa nostra indipendentemente da dove ci troviamo, in pace con le cose così come sono un momento dopo l’altro.
Da: Lao Tzu – Tao te Ching
Il pesante è la radice del leggero, la quiete è la fonte di ogni movimento.
Così il maestro : egli viaggia un giorno intero senza allontanarsi da casa.
Sebbene intorno a lui ci siano un accampamento militare e torri di osservazione, egli rimane tranquillo e al di sopra delle cose.
Come potrebbe comportarsi con leggerezza nei riguardi dell’impero il padrone di diecimila carri di combattimento?
Se si comporta con leggerezza allora perde la radice, se con agitazione, allora perde il dominio.
Ci vorrebbe una Giornata della Memoria di quello che è accaduto a Hiroshima e Nagasaki anche qui da noi e in ogni nazione dell’Europa e del mondo. Ogni giorno. Per capire. Ricordare. Non rifare.
Sto finendo di leggere Tasmania di Paolo Giordano e nelle pagine che ho davanti racconta quello che vede:
… Questo ci lascia il tempo, al mattino, di attraversare il Parco della Pace dove un monolite nero segnala l’ipocentro dell’esplosione, e di visitare il museo lì accanto. Nelle sale in penombra, all’interno delle teche, osserviamo l’ostensione dei materiali trasformati dalla potenza dell’atomica: le tegole dei tetti punteggiate di bollicine dopo che l’onda di calore ha fatto letteralmente friggere la pietra, le ombre di un uomo e di una scala tatuate su una parete, un rotolo di filo spinato fuso insieme a formare una ciambella, i ferri accartocciati, i vestiti a brandelli – e ovviamente i corpi, materiale organico fra il resto, le facce rese lisce dalle ustioni, gli occhi sigillati, le bocche sciolte.
A rischio di cadere nella retorica mi chiedo: perché?
Perché dopo tutto questo ancora oggi rischiamo che un folle butti con noncuranza un’altra Fat Man come fosse un giocattolino?
Mi chiedo perché violenza e guerra e tutto quello che sta accadendo e sempre accade nel passato e nel presente per vili uomini assetati di stupido potere e vil denaro.
Siccome vergogna viene dal latino vereor gognam che significa temo la gogna, la mia esposizione pubblica, quando dico non mi vergogno sto dicendo che non temo l’esposizione agli altri. Ho oltrepassato quello che per chiunque sarebbe il pudore e ho fatto della spudoratezza non solo la mia virtù, ma la prova della mia sincerità e della mia innocenza.
Così Umberto Galimberti nel Libro delle emozioni – Feltrinelli
Ne scrive relativamente all’abuso della spudoratezza nei salotti televisivi nei quali mettere in mostra il proprio vissuto intimo é il passaporto per gli animi affamati degli annoiati.
In realtà io giudico spudorato chi non prova vergogna anche nell’intimo delle mura domestiche. Senza telecamere.
Giudico senza vergogna l’inconsapevole che agisce male senza rendersene conto. Se solo i muri delle case fossero trasparenti… quali persone proverebbero vergogna?
La persona etica si comporta secondo le regole del bene e con virtù esattamente dentro e fuori le mura domestiche. Non teme la gogna perché agisce in modo corretto.
Personalmente non mi interessa il gossip, non leggo i vari giornaletti che vivono sui divorzi separazioni tradimenti e affini. Non vedo le varie trasmissioni di Maria & C.
Mi interessa la mia vita privata. Cerco di viverla con decoro e con un minimo di pudore.
In questa fase della mia vita divido in modo netto il bene e il male. Non accetto sfumature giustificazioni psicoanalitiche comprensione e accettazione.
È come un foglio diviso in modo verticale. In uno spazio c’è il male. Nell’altro spazio c’è il bene. Non si sta a cavalcioni della linea un piede penzolante di qua e uno di là.
Chi sceglie il bene fa in modo di essere grato fin dal risveglio perché è sveglio. Sorride ed è grato. Anche se il periodo storico – pandemia e guerra – è tra i peggiori per noi figli del benessere.
Chi sceglie il bene manda, irradia bene. Non servono grandi gesti. Sono sempre i piccoli gesti che fanno la differenza nel quotidiano. Un sorriso, una carezza, un’attenzione. Gentilezza cortesia garbo.
Chi sceglie il bene vive e fa vivere chi sta accanto in un’aura luminosa.
Chi sceglie il male vive e fa vivere chi sta accanto in un cupo basso atro nero.
In questo periodo cerco di stare alla larga da chi sta nella parte del male. Mi voglio troppo bene per guastarmi le giornate.
In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne non posso tacere. Non solo perché sono donna, ma anche perché sono una di quelle ( una su tre) che ha subito violenza fisica e psicologica.
La violenza domestica, cioè chiusa tra le mura di una casa, domus, è la violenza più diffusa. È il marito il compagno il fratello il padre. Il maschio. Normalmente un maschio devirilizzato che non sa che fare se si accorge che la sta perdendo.
Un uomo che può essere diverso sotto la maschera e il ruolo sociale, può essere un uomo di potere professionale, ma è pur sempre un ometto, un omuncolo, un poveretto.
Normalmente un egocentrico malato di senso di possesso e gelosia, che considera la sua donna come un suo oggetto. Così opera la sua tirannia che esercita con metodo quotidianamente : botte e parole svalutanti: tu non sei niente, tu non vali niente. Senza di me sei morta.
È tempo di parlare e di denunciare. È tempo di liberarsi da qualsiasi forma di sopraffazione e violenza. Anche psicologica. Non permettete a nessuno di tarparvi le ali, di rovinarvi la vita e le giornate. Non permettete a nessuno di considerarvi una cosa o un mero corpo pronto al piacere altrui quando gli gira e ne ha voglia. Non permettete a nessuno di vampirizzare la vostra energia. Di annientare il vostro sorriso. Non permettete a nessuno di chiudervi in gabbia.
Riprendete in mano la vostra vita e, mi verrebbe voglia di dire: fatevi aiutare. Se fosse vero e possibile farsi aiutare in uno stato in cui mancano, o sono carenti, strutture servizi pene detenzioni per chi fa violenza a una donna.
Sarebbe bene moltiplicare, in ogni città e in ogni quartiere, i centri di ascolto riparo e rifugio per le donne che denunciano. Sarebbe bene evitare che l’omuncolo già segnalato e denunciato ce lo si trovi, dopo poco tempo, sotto casa con un coltello in mano.
Dovrebbe essere diffuso il Protocollo Zeus che, leggo, in 4 anni ha ridotto del 90 per cento i casi di recidiva lavorando sugli uomini che hanno usato violenza senza essere consapevoli del male fatto. Si tratta di centri per uomini maltrattanti. In Italia ad ora ce ne sono 60. È un percorso di recupero con psicoterapeuti, psichiatri ed educatori che dura solitamente nove mesi. Perchè in mancanza di consapevolezza questi uomini maltrattanti torneranno a maltrattare, a usare violenza.
Occorre lavorare ad ampio raggio e in tutti gli ambiti sociali ed educativi perché maltrattare è un fallimento. In ogni caso.
Ho chiesto a mia figlia di lasciarmi Yoga di Emmanuel Carrère. Lo avevo già letto, ma volevo rileggerlo. Ancora una o due volte.
Di questo autore avevo già letto : Limonov e Facciamo un gioco.
Yoga mi è piaciuto perché è un libro vero. Sincero. Non edulcorato. L’autore si racconta con una sincerità disarmante e, talvolta, imbarazzante. Come può essere la verità.
Io vi trovo tracce di me. E della mia storia passata. Per esempio come quando – senza pietà – parla dei guru.
I guru hanno una voce.
Non è la voce di un guru, non ha il calore avvolgente e osceno dei professionisti della persuasione – politici, predicatori, attori sicuri del loro fascino…
Il “mio guru” aveva una voce persuasiva avvolgente calda ammaliatrice oscena… Gli amici mi dicevano che incantava i serpenti. Io mi sono innamorata della sua voce. Sono caduta nelle sue spire.
Con lui, e attraverso lui, ho conosciuto tutti gli aspetti della new age. Abbracciare gli alberi, fare meditazione, andare a convegni incontri con personaggi alquanto bizzarri e spendere soldi per fare esperienze di ogni tipo.
Quella di abbracciare gli alberi, di comunicare con Gaia, la Terra, accarezzandoli è una pratica new age e mi chiedo se a chi lo fa, verrebbe mai in mente di farlo se nessuno gli avesse detto che è così che si fa, che è un segno di sensibilità, di comunione con la natura, un modo per lasciare andare o che so io.
… Ram Dass tipico esemplare della tribù degli yogi barbuti vegetariani indossatori di sandali che lui considerava non innocui babbei, ma imbecilli decisamente pericolosi.
Quando ho conosciuto il mio guru ero molto giù e molto fragile. Lui è stato un imbecille decisamente pericoloso. Chiusa nel bozzolo della sua voce suadente non mi rendevo conto della sua pericolosità. È quello che purtroppo provano molti adepti di sette. Molti affiliati a supposti e supponenti Maestri. Manipolatori di menti fragili.
Ebbene guardando questi ragazzi con le cuffie peruviane che abbracciano gli alberi, mi chiedo anche : come mai gli accenti di verità, il peso dell’esperienza e perfino il godimento estetico sono con tanta evidenza dalla parte di Orwell e non da quella di Ram Dass né di nessuna delle autoproclamantesi guide spirituali che recitano i loro sempiterni discorsi sull’espansione della coscienza, sul potere del qui e ora e sulla pace interiore? Perché i loro pensieri mancano a tal punto di gravitas? Perché nessuno di loro supera la prova della bellezza? Perché i loro libri dalle copertine rosa o azzurre, che in ogni libreria new age balzano agli occhi come l’incenso alle narici sono così brutti, così stupidi?
Dopo questa lunga esperienza con il mio guru ho imparato a prendere distanza da ogni forma di affiliazione e fanatismo. Ho imparato a non dipendere più da nessuno anche se ha una voce suadente. Come ogni esperienza dura mi è servita. Non mi faccio più soggiogare da nessun tipo di potere. E da nessuno.
Un esercizio che consiglio a chi si sente un poco giù è questo:
Osservare, durante la giornata, quante volte le parole che escono dalla nostra bocca sono lamenti e lamentazioni.
Per il cattivo o troppo buono tempo
Perché si è dormito poco o tanto
Perché il cibo non è di nostro gradimento
Perché il nostro o la nostra partner non ha fatto quello che desideravamo
Perché al lavoro il collega è noioso o pedante
Ecc. Ecc.
Ogni volta che, con consapevolezza, notiamo che ci siamo lamentati contiamo. Possiamo anche fare una crocetta su un foglio.
A fine giornata facciamo mente locale a quante lamentazioni sono uscite dalla nostra bocca o mente.
Ora pensiamo: quante volte, nella stessa giornata, abbiamo reso grazie. Siamo stati grati la mattina per esserci svegliati nel tepore del nostro letto? Siamo stati grati per il cibo, poco o tanto, che abbiamo gustato? Siamo stati grati di essere in salute o con piccoli malanni facilmente superabili?
Sono sempre più convinta che occorra fare ogni giorno molto costante esercizio per imparare la gratitudine e non scivolare inevitabilmente nello sport preferito dai molti: lamentarsi.
Provare per credere. Lamentarsi non porta bene anzi deprime. Essere grati anche delle piccole cose solleva.
Tempo fa mi é stato regalato un libro che ho letto con piacere: Come essere stoici di Massimo Pigliucci.
Alla fine del volume sono elencati i principi stoici su cui riflettere – ed eventualmente lavorare con disciplina per metterli in pratica.
Sono:
1 – La virtù é il sommo bene e tutto il resto è indifferente. Essere virtuosi hic e nunc. 2 – Vivere secondo natura. 3 – Bipartizione della realtà: alcune cose sono in nostro potere altre no. 4 – Esaminare le impressioni ovvero le nostre reazioni 5 – Ricordarci della transitorietà delle cose 6 – Prendersi un momento prima di reagire 7 – Mettere i problemi in prospettiva 8 – Parlare poco è bene 9 – Scegliere in modo accorto le proprie compagnie 10 – Rispondere agli insulti con umorismo 11 – Non parlare troppo di sé 12 – Parlare senza giudicare 13 – Riflettere sulla giornata appena trascorsa
Io non sono stoica e non lo è nemmeno la persona che mi ha regalato il libro. Tendere costantemente verso un comportamento etico é molto importante al di là del risultato che, sicuramente, non è mai immediato.
Ricordarsi della transitorietà delle cose significa alleggerire pesi e situazioni che, magari, non ci fanno riposare la notte ricordandoci che tutto passa e che anche noi siamo di passaggio. Un metodo di rilassamento prima di dormire se si hanno pensieri é quello di visualizzare nuvole che passano nel cielo.
Ogni punto così come ogni regola implica disciplina. Senza disciplina saremmo solo in preda agli istinti e al soddisfacimento dei bisogni. Come bambini.
Purtroppo ho avuto modo di conoscere persone davvero poco serie: me ne sono accorta dai fatti e non dalle loro parole. Io accetto e sopporto tutte le parole storte rovesciate illogiche… Ma non sopporto i fatti poco logici sgrammaticati e storti.
” Cose che mi sembrano di cattivo gusto: troppi oggetti personali ammucchiati nella stanza dove ci si intrattiene; troppi pennelli in un calamaio; troppi Buddha nel tempio di famiglia; troppe pietre e piante in giardino; troppi bambini in una casa; troppe parole quando si incontra qualcuno; troppe imprese meritorie elencate in una petizione” Da : Momenti d’ozio – Kenkō
A cui io posso aggiungere: troppe rughe spianate per nuovi replicanti mummificati troppe cartacce e mascherine nei bordi dei sentieri e nei prati troppe plastiche nel mare troppa cementificazione ovunque troppe automobili e aerei troppi incendi e disboscamenti troppi videogiochi chat social troppe app troppi talk show troppi adoni e starlette troppi divorzi e separazioni troppe dipendenze troppo smog, polveri sottili troppa violenza, arroganza, ignoranza e prepotenza
Volete aggiungere voi altre cose di cattivo gusto? Scrivete…
“L’essere umano è parte di un tutto che chiamiamo Universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Percepisce se stesso, i propri pensieri e sentimenti, come qualcosa separato dal resto : una sorta di illusione ottica della sua coscienza.
Questa illusione è per noi una specie di prigione che ci limita nei confini dei nostri desideri personali e dell’affetto per le poche persone a noi più vicine.
Il nostro compito deve essere liberarci da questa prigione, ampliando il nostro cerchio di compassione fino ad abbracciare tutte le creature viventi e l’intera natura in tutta la sua bellezza.
Nessuno riesce a farlo completamente, tuttavia impegnarsi a fondo per raggiungere questo obiettivo è già una parte del processo di liberazione e un fondamento della sicurezza interiore”.
Al di là del magico mondo di Heidi vivere in un piccolo posto di montagna comporta delle forti limitazioni.
Limitazioni dovute al controllo: tutti sanno tutto di tutti. Per sapere tutto tu vieni controllato. Dove sei dove vai con chi vai quando esci quando torni come vesti…
Qui tutti vedono – nascosti dalle tendine che si muovono impercettibilmente.
Nessuno si fa gli affari propri.
C’è un gran sparlare alle spalle e nelle lunghe tediose giornate nevose.
Mi è venuto in mente questo tema grazie all’ultimo articolo di Fritz e a quanto successo ieri dalla parrucchiera del posto.
Qui occorre essere molto cauti anche nel parlare perchè si possono urtare equilibri delicati, c’è una sorta di gerarchia che prevede una sorta di servitù ancellare verso i quattro ” potenti” del luogo che, alla fine, sono dei poveretti senza spessore.
Come una volta contano ancora quelle quattro figure di riferimento il prete il farmacista il maestro il sindaco.
Per una selvatica e anti conformista come me stare qui è stare “legata”. È rinunciare allo scambio culturale e sociale aperto. Qui se vesti un giorno con giacca e stivali ti chiedono se vai in città… o al maneggio. La moda milanese dello stivale con la gamba nuda qui non è mai arrivata. Devi conformarti persino nell’abbigliamento montano. Per fortuna il costume Walser viene messo solo nelle feste più importanti…
Adesso che finalmente sono libera dal gesso ho deciso di vestirmi come mi piace e di vedere l’effetto che fa. Dopo più di quaranta giorni di privazione e umiliazione dell’estetica, per rimbalzo ho voglia di coccolarmi con tutte le cose belle che ho, di essere bella riponendo nell’armadio i vecchi maglioni.
E pazienza se si muoveranno più tendine… Dove vivevo prima hanno visto arrivare mio marito con il mio nuovo fidanzato e non hanno fatto una piega. Qui almeno preparerò nuovi e gustosi intrattenimenti per le future e lontane giornate del prossimo inverno. Intanto lasciatemi vivere come mi piace.
Non prova compassione chi non ha passione non prova compassione chi non ha empatia non prova compassione chi non sa mettersi nelle scarpe di un altro non ha compassione chi non ha consapevolezza
“La compassione, la simpatia, la benevolenza, l’amore e simili non possono dunque venir riconosciuti come principi alternativi per la fondazione della morale; possono però esser tenuti in considerazione come risorse motivazionali, empiricamente indispensabili per la fondazione delle norme anche di quelle fondate sulla scorta dell’etica del discorso, su quella morale formale, cioè, della comunicazione che, fondandosi sul rispetto reciproco di principi e regole tra gli interlocutori, individua i presupposti per realizzare un accordo mirante a realizzare pacificamente una vita felice“.
Karl Otto Apel
Chi non prova compassione non prova nemmeno simpatia. Stanotte ho sognato che piangevo per la sfortunata sorte di un bambino. Pur non avendo un rapporto intimo o familiare, saputa la sua storia ho pianto. Ho provato compassione perché la mia mente – anche se nel sogno – era in empatia con lui.
Ogni giorno il passato rinnova in noi una preistoria e il presente può annunciare un futuro solo se si riconcilia col passato di cui beneficia e che il ricordo tematizza.
Non è forse il ri-cordo un ri-accordo…
Riaccordarsi al passato non è ridurmi al passato, perché se è vero che il passato ha consumato le sue possibilità non è vero che ha consumato me stesso. Dal passato io sporgo, perciò lo posso ricordare.
Nel ricordo ri-accordo il passato che sono stato col futuro che sarò, come chi vuol colpire un bersaglio accorda il suo tiro alla mobilità del bersaglio.
De-finire una persona come buona o cattiva è finirla nel suo passato, è proibirle un futuro, è annunciarle che sarà come è sempre stata.
Finché ho vita, sarà il futuro a dirmi il senso del mio passato.
da: Galimberti – Il corpo – Feltrinelli
Mi pare piuttosto interessante questo stralcio tratto dal tomo dedicato al corpo da Umberto Galimberti.
Personalmente non rinnego un solo attimo del mio passato, una sola fase… quello che sono oggi è il risultato di tante esperienze e scelte, anche dolorose stupide e sbagliate.
Subiamo le conseguenze degli atti fatti nello spazio del passato per riaccordarci e mirare meglio, aggiustando il tiro, al bersaglio posto nell’oggi e nel futuro.
Quale miglior momento per cambiare radicalmente il nostro modo di agire? Sono convinta che sono proprio i momenti di crisi a darci lo stimolo per rivedere alcuni nostri comportamenti non funzionali al benessere e poterli modificare.
Il nostro essere non è qualcosa di predeterminato ma dipende dal nostro agire, perché vi è un potere performativo del lavoro nel senso che le azioni che compiamoa loro volta compiono noi.
Cito ancora una volta Aristotele : “Compiendo atti giusti si diventa giusti, si diventa temperanti compiendo cose temperanti, e coraggiosi compiendo atti coraggiosi”.
Qualche secolo prima di Aristotele così dichiarava la più antica Upanisad:
” Quando si dice che qualcuno è in un certo modo, qualcun altro è in un altro modo, si deve intendere che si diventa tali a seconda delle proprie azioni, del proprio comportamento.
Chi bene agisce diventa buono, chi agisce male diventa cattivo, virtuoso diventa con l’azione virtuosa e cattivo con quella cattiva”.
Da: La forza di essere migliori – Mancuso
Mi sembrano parole e riflessioni di una chiarezza lampante. Non si può proprio sfuggire alla verifica: niente fughe sarai giudicato dalle tue azioni.
Basta con inutili affermazioni: sono fatto/a così prendere o lasciare. Basta dire: tu non puoi giudicarmi. Il giudizio non si emette sulla persona ma sul comportamento e ciascuno di noi è e sarà giudicato, dal prossimo senza scomodare dio, sul suo agire su quello che sceglie di fare sul suo comportamento.
Non si scappa. Inutile nascondersi. I fatti e le azioni definiscono chi noi siamo in modo estremamente chiaro. Senza mezzi termini. Buono e saggio se le tue azioni sono buone e sagge. Cattivo e malevolo se le tue azioni sono cattive e malevoli, cioè non volte al bene.
Come ho scritto all’inizio è proprio questo il momento – per l’estrema emergenza – in cui ciascuno è chiamato a comportamenti eticamente corretti. Nelle piccole e grandi azioni.
In breve (perché farla lunga non serve)Mi sono ubriacato diverse volte ma non ho mai corso il rischio di essere violentato. Sono uomo. In vita mia non ho mai sentito di un uomo ubriaco violentato. Allora il problema non è essere ubriachi. Il problema è essere donne. Ho camminato a petto nudo. In pantaloncini. In […]
L’ultima così detta “amica” quando l’ho conosciuta tutta felice e pimpante mi ha detto: – Andremo alle terme, andremo al corso di ballo, andremo a teatro. Mai fatto nulla insieme a lei: ha sempre preferito passare il tempo con il suo compagno. Legittimo. Ma evita, per favore, di fare programmi proclami e promesse.
Non sopporto chi parla per niente. Se non puoi fare, o non vuoi fare una cosa non dirla.
Non puoi dire: – Io per te ci sono sempre e poi scomparire. Taci. Non dire nulla.
Essere coerenti significa avere una perfetta adesione tra quello che si dice e quello che si fa. Punto.
Dato che nessuno ci obbliga a parlare, quando lo facciamo cerchiamo di stare attenti a dire cose che poi non faremo. In questo caso io taccio. Non faccio promesse. Non butto progetti. Non faccio proclami.
Detesto l’incoerenza.
Ci sono persone altalenanti. La coerenza vincola a comportamenti coerenti e stabili. C’è, invece, chi preferisce le montagne russe. Un giorno amici per sempre, un giorno: non so chi sei e ti ignoro.
Abbracciare un’etica significa far seguire un comportamento etico coerente a quanto si dice e alle norme interiori che si è deciso di fare proprie. Anche in questo periodo di emergenza essere coerenti significa seguire tre regole: per il bene di tutti oltre che del proprio.
Ieri, per la prima volta mi hanno misurato la temperatura con il termo scanner. Tutte le persone al chiuso avevano la mascherina. Anche girando per le vie cittadine quasi tutti avevano la mascherina. Bravi. Finché non c’è un dato diverso è bene tutelarsi e tutelare. Troppo facile agire come se non fosse successo nulla.
La coerenza nei comportamenti non è semplice. Costa fatica. Più facile aderire alle proprie voglie e istinti. Lo fanno anche i cani. Forse è proprio questo che “dovrebbe” diversificarci dagli animali. Si chiama forza di volontà, pensiero e calcolo dei rischi pericoli, comprensione e riflessione sulla differenza tra bene e male e sulla responsabilità individuale e sociale delle nostre azioni. Che hanno, che ci piaccia o no, ripercussioni sul mondo intero.
Le nostre azioni secondo la psicanalisi e altre teorie e filosofie sono condizionate, secondo il buddismo invece sono intenzionali.
Sappiamo cosa significa agire inconsapevolmente quando siamo in preda a forti emozioni come la rabbia, o la vergogna, la gelosia o l’avidità. Le emozioni ci muovono come fiumi in piena.
Sappiamo però anche fare scelte volontarie, resistendo a impulsi e condizionamenti, e talvolta sappiamo decidere cosa è bene fare.
Spesso però agiamo seguendo schemi che sono radicati in noi da anni e anni e che non riusciamo a sciogliere.
Le caratteristiche di uno schema sono: l’automatismo, la risonanza, la cristallizzazione, e l’abitudine.
L’automatismo ci fa mettere una sorta di pilota automatico: facciamo quello che abbiamo sempre fatto senza spendere troppa energia. Come quando guidiamo l’attenzione è minima, sappiamo automaticamente quando scalare le marce o frenare.
Più uno schema opera più si potenzia.
Spesso non siamo consapevoli degli schemi sottesi al nostro modo di agire.
Per vederli occorre prendersi delle pause di riflessione. Occorre riguardare alcuni episodi dolorosi della nostra vita e chiedersi perché, a quale scopo noi ci siamo comportati così ogni volta.
Non è facile. Occorre sapersi porre in estrema attenzione e ri-vedere le situazioni che ci hanno dato dolore. Come ci siamo comportati e perché. Quale schema sotteso ci ha sempre guidato.
Identificare uno schema ci permette di smontarlo e liberarcene. Occorre essere forti e pronti alle ondate emozionali che uno schema e il suo nucleo emotivo apporta.
Il premio è comunque importante: cambiare e non ricadere più negli schemi reattivi, o se ci cadiamo almeno esserne consapevoli. Che non è poco.
Difficilmente siamo in grado da soli di “vedere” uno schema in cui siamo soliti cadere. Ormai fa parte di noi. È bene quindi farsi aiutare da un ottimo psicoterapeuta. Solo attraverso un lungo e faticoso cammino possiamo cominciare a smantellare le incrostazioni e liberarci per camminare più liberi e spediti.
Serve una forte tenacia e volontà. Se una persona non vuole modificare i propri schemi nulla servirà e nulla cambierà. Ripeterà all’infinito le modalità che la portano a vivere male.
La strada del ben-essere è faticosa perché comporta un costante e serio lavoro su di sé.
Stavo pensando: se non ora quando? Stavo cioè riflettendo sulla modificabilità del nostro modus operandi e vivendi.
C’è una pubblicità che presenta la paziente distesa sul lettino che parla con lo psicoanalista del marito che si comporta male e lo psicologo le consiglia di cambiare le imposte perché le persone non cambiano.
Ma è proprio così? E ora, che mai come prima, siamo così vicini alla morte, grande tabù della società consumistica, ora è finalmente possibile modificare il nostro abituale modo di vivere, scegliere, comunicare? O staremo per sempre fermi – uguali a noi stessi – come fossili imprigionati nella pietra?
Questo è il mio carattere – qualcuno può affermare. Ed è immodificabile. Prendere o lasciare.
Vediamo allora la differenza tra carattere e temperamento.
” Carattere viene dal verbo greco charásso che significa fendere, solcare, coniare e descrive l’azione dell’aratro sulla terra o della zecca che conia le monete, dando l’idea di qualcosa di strutturalmente immutabile, tant’è che carattere si usa anche nell’espressione caratteri di stampa…
Temperamento invece è quanto risulta dal lavoro dell’individuo sul suo carattere originario, mitigato o temprato a seconda delle esigenze”
Vito Mancuso – Essere migliori
” Quello che noi chiamiamo temperamento – il modo più o meno armonico con cui reagiamo agli scossoni della vita, ogni giorno che passa – è il frutto di un lungo processo educativo e della sua interazione con gli elementi fondamentali della reattività emotiva di cui siamo dotati”
Antonio Damasio – Lo strano ordine delle cose
Mancuso afferma che:
” Lo spazio vuoto tra carattere e temperamento indica che possiamorealmente cambiare, che possiamo realmente seminare atti che poi diventano abitudini, le quali poi formano un carattere o per meglio dire lo temprano, essendo il solco originario e il temperamento l’azione di modifica che lo rende più morbido o più duro”.
Quindi non posso modificare il mio carattere, ma posso lavorarlo per ottenere un temperamento diverso.
Stamattina ho tolto le erbacce dal mio orto, china sulla terra con l’attrezzo a zappettare. Lavoro duro, faticoso. Ho fatto circa un quarto del terreno. È visibile a occhio nudo la parte lavorata. La terra è leggera, morbida, farinosa.
Ecco. Penso che occorra – allo stesso modo – lavorare sodo sul nostrocarattere ora, proprio ora in questo momento. O ora o mai più.
Come lavorare? Facendo fatica.
Seminando atti che divengano buone abitudini. Non leggiamo? Cominciamo a leggere, a imparare, a riflettere. Siamo pigri e indolenti? Cominciamo a fare cose: riordiniamo, puliamo, cantiamo, inventiamoci attività creative e distensive. Siamo orgogliosi? Impariamo ad abbassare la testa, impariamo a chiedere quello di cui abbiamo bisogno.
Non è più il tempo di alzare scudi e muri che già siamo rintanati tra quattro mura. È tempo di aprire i cuori.
Sono convinta che l’essere umano è in grado di migliorare. Naturalmente a patto che lo voglia.
Leggo con voi. Rifletto con voi su un termine piuttosto importante, direi basilare. Il termine è responsabilità.
” Rispondere viene dal verbo latino respondeo, formato dal prefisso re, rafforzativo, e da spondeo, che significa promettere e da cui vengono sponsus e sponsa che in latino sono i promessi sposi, i fidanzati. Una persona responsabile è quindi paragonabile a una fidanzata della realtà, perché ha preso impegno con essa, le ha dato la sua parola, si è legata, e quindi intende essere una persona seria, affidabile, vera, di parola, leale;
ha il senso del dovere e non solo quello del piacere, e il suo senso del piacere, quando è il caso, sa sottoporsi al suo senso del dovere.
Anzi, per una persona responsabile il senso del dovere diviene un piacere, perché quando lavora è contenta, quando si può dedicare a qualcosa di più grande e più importante di sé è ancora più contenta.
Le piace rispondere, corrispondere, non tradire, non risultare inaffidabile, non essere falsa, menzognera, sleale”.
Da: Essere migliori – Mancuso
Andrebbe pesata ogni parola di quanto riportato. Essere persone serie e responsabili non significa seguire i propri istinti desideri e piaceri. Per questo non serve un gran lavoro: è talmente facile… istintivo appunto.
La parola dovere oggi sembra un po’ fastidiosa: sa di regole dettate dall’esterno a cui dobbiamo sottometterci con fatica. In questa cultura consumistica va più di moda la parola piacere. Faccio quello che mi piace senza dover rendere conto a nessuno.
Quanto siamo davvero responsabili? Senza la mamma o il professore: noi sappiamo essere persone che, preso un impegno, sanno mantenere fede alla parola data? Sappiamo uscire dal guscio inerte delle nostre piccole vogliuzze per rispondere, corrispondere, essere un centro vitale anche per gli altri? Sappiamo ricavare piacere dal dovere?
Ci sono persone così egocentrate che inorridiscono al pensiero di mettere al secondo posto il proprio piacere. Prima c’è il proprio bisogno. Il proprio tempo. Il proprio desiderio. Naturalmente sono le medesime persone che esigono che venga loro donato tempo per appagare i propri desideri. Ma non ricambiamo mai, se non con estrema fatica. Tutto è loro dovuto, loro non devono nulla.
Persone che sono inaffidabili. Non si può contare su di loro se non servendoli. Allora, paghi come poppanti appena allattati, sono contenti.
Ma guai a chiedere loro qualcosa: come ci permettiamo di mettere in discussione il loro sacro tempo che è completamente sottomesso alla soddisfazione dei loro perenni bisogni?
A meno di essere isolati in un eremo fuori dal mondo da soli, ciascuno di noi dal momento in cui è in relazione con altri, dovrebbe cercare di essere una persona responsabile. Anche nei confronti dell’ambiente e non solo nei confronti del prossimo. Tutto quello che scegliamo di fare lascia tracce.
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