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La folie Baudelaire


Scopro la vita, l’arte e lo spirito di Baudelaire attraverso le parole di Calasso nel bel libro “La folie Baudelaire”.


Per leggere questo libro occorrerebbe avere vicino libri d’arte e di letteratura e una buona enciclopedia. Calasso non è di facile lettura, ma quanto sapere e sapore regala.


Non so quanti libri di Baudelaire ho in casa… ma almeno Fleurs du mal dovrei averlo e sarà bene consultarlo per trovarvi:
“La frase come carica di fluidi elettrici“.

Scrive Calasso: quella stregoneria evocatoria che è lo scrivere dava alle sue parole una capacità di rimanere impresse più di ogni altro scrittore.

Forse perché il carattere peculiare di Baudelaire era la subordinazione della sensibilità alla verità, marchio del genio, dell’arte superiore alla pietà individuale.

Eppure non tutti i suoi versi furono belli, non aveva la capacità della grande composizione come Proust, faceva fatica a far fluire i versi.


Scrisse : Mi sto battendo contro una trentina di versi insufficienti, sgradevoli, mal fatti e mal rimati.

La stessa percezione l’ho già trovata in Borges. Evidentemente i grandi sanno che non sempre ciò che scrivono è perfetto.


Eppure, scrive Calasso, quel fondale stinto, generico anonimo fa risaltare maggiormente altri suoi versi quelli che si imprimono nella memoria senza mai più cancellarsi.

Piacere amaro e fra i più dolci quello di ripetersi un certo verso di Baudelaire al mattino della notte parigina” – Barrès



Baudelaire iniziò a scrivere sotto pseudonimo. (Mi chiedo chi lo farebbe oggi considerato che il massimo dei piacere pare essere per molti vedere stampato il proprio nome e cognome in copertina). Anonimi e pseudonimi i suoi inizi.

A ventiquattro anni tenta il suicidio e, naturalmente scrive una lettera per dare spiegazioni. Certo strane: Perché la fatica di addormentarsi e la fatica di svegliarsi sono insopportabili”.


Calasso commenta questa “rudimentale messa in scena” che sembra mettere Baudelaire sul medesimo piano di un commediante scrivendo:

Scrittore è colui che rivela e si rivela inevitabilmente attraverso la parola scritta.

Bella affermazione e definizione dello scrittore. (Mi piacerebbe appuntarmene altre al riguardo man mano che leggo altri libri).


In questa di Calasso mi piace la parola:
si rivela
cioè toglie il velo: si mostra nella sua sensibilità
mi piace molto l’avverbio:
inevitabilmente
uno scrittore non può evitare di scrivere: è inevitabile che ogni cosa entri nel magma della sua scrittura per poi zampillare all’improvviso un giorno.

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Come essere stoici e perché 

Entrare nel flusso e lasciarsi andare. Non opporre resistenza. Essere mobili e flessuosi. Darsi una meta, un obiettivo ma non annegare se la sorte è avversa. Sono le ultime riflessioni lette ieri sera prima del sonno. 

Mi hanno regalato il libro, su cui ho scritto, di Massimo Pigliucci, dal titolo: “Come essere stoici” – edito da Garzanti. Considerato che ultimamente avevo preso/ripreso in mano Marco Aurelio questo regalo rinforza il tema e la riflessione sulla filosofia stoica. Inizio a leggerlo augurandomi che non sia il solito libro americano con le solite ricette: Come essere felici, Come ottenere il successo, Come vivere e Come copulare. In genere le ricette e i prontuari non fanno per me. 

Il libro, per ora, mi sembra interessante e ben scritto. Linguaggio semplice e chiaro, piedi per terra. Buona documentazione. Rileggo la storia della nascita della stoà, già affrontata a scuola e ritrovo nomi sepolti nella memoria: Zenone, Crisippo, Gaio Musonio Rufo, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio. Chissà perché a scuola non ci fanno amare la filosofia, almeno così è stato per me, forse cattivi professori forse una mia fase poco recettiva al tema e alla materia. 

Per rispondere anche a un commento di un mio precedente post: lo scopo dello stoicismo “non è reprimere o celare le emozioni ma riconoscerne l’esistenza, riflettendo su ciò che le ha provocate, e canalizzarle, usandole a proprio vantaggio”.

Questo mi interessa. Così come mi piace la riflessione letta ieri sera di Cicerone: “Il fatto di colpire il bersaglio sarebbe per così dire cosa da prescegliere, ma non da desiderare”. Sembra una contraddizione in termini, ma il senso è: tu fai tutto quello che è in tuo possesso per scegliere obiettivo, luogo, tempo e strumenti per centrare un bersaglio, ma tieni conto che possono intervenire fattori non dipendenti da te, come un’improvvisa folata di vento. Accetta quindi, profondamente, che nella tua esistenza possano intervenire variabili che non sono sotto il nostro diretto controllo. Che non dipendono da noi.

Mi ricorda una favola zen, che riporta l’atteggiamento di apparente rassegnazione di un monaco buddista a tutto ciò che gli accade. A ogni evento negativo lui risponde: -Ah. E si adatta. Non ho il testo sottomano ma, per fare un esempio, lo accusano ingiustamente di aver messo in cinta la figlia dei suoi vicini e lui, imperturbabile, la sposa e cresce il bimbo come se fosse il padre naturale, quando la ragazza dopo tempo confessa di aver mentito ai genitori, il monaco viene scagionato e imperturbabile torna alla sua vita. 

Appena mi sarà possibile, riscriverò interamente la favola che ha sicuramente maggior pregnanza dell’esempio sintetico trascritto. Comunque il senso di quello che vo leggendo e meditando in questi giorni è proprio questo: di fronte a scelte importanti nella vita noi possiamo agire in modo da ottenere quello che desideriamo ma, nel contempo, dovremmo essere pronti e arresi a tutto quello che si frappone, devia il nostro percorso e ostacola il pieno raggiungimento del nostro obiettivo. Non è rassegnazione, non è fatalismo, è saper accettare serenamente un eventuale esito negativo.