Tra i sette libri che ho acquistato ultimamente, due sono volumi di Carl G. Jung dedicati alla Pratica della psicoterapia.
Come dicevo ieri ad una amica, seduta in caffetteria per colazione, leggere Jung è comunque e sempre leggere un Maestro.
Le riflessioni di Jung attengono all’essere uomo, persona, individuo al di là della pratica terapeutica. Le conferenze che sto leggendo risalgono agli anni 30-40. Ne è passato del tempo eppure alcuni principi e riflessioni rimangono attuali.
Qualcuno potrà obiettare: Eh, ma il linguaggio sarà difficile, per “addetti ai lavori”. No: a differenza di Freud, Adler, Klein, Lacan o altri che ho avuto il piacere di leggere e studiare, l’esposizione di Jung è accessibile a tutti coloro che hanno un livello minimo di conoscenza psicologica.
Faccio un esempio:
“Segreto e ritegno, quando sono esclusivamente personali, causano danni cui la natura reagisce infine con la malattia. Se invece sono esercitati in comunione con altri, la natura non se ne adonta, ed essi possono persino trasformarsi in utili virtù.
Dannoso è soltanto ciò che viene trattenuto, occultato per motivi personali.
È come se l’umanità avesse un diritto inalienabile a vedere quel che negli altri c’è di oscuro, imperfetto, stupido e colpevole: di questo genere sono infatti le cose che teniamo segrete per autodifesa.
Nascondere la propria inferiorità sembra un peccato naturale altrettanto grave quanto viverla fino in fondo. È come se esistesse una sorta di coscienza morale comune a tutti gli uomini, capace di punire severamente colui che, anziché ammettere la propria fallibile condizione umana non rinuncia mai, in nessun luogo e in nessun momento, alla virtuosa fierezza che gli deriva dalla capacità di dominare e affermare se stesso.
Finché egli non avrà compiuto una tale ammissione, un muro invalicabile lo separerà dalla sensazione vitale di essere uomo tra gli uomini “.
Ecco: questa riflessione non è comunque una riflessione che travalica il mero campo della pratica psicologica?
Non è forse vero che per salvarci tendiamo spesso a vedere fuori di noi il marcio, il brutto, l’orrendo, il difetto e l’imperfetto?
Quanto ci sentiamo esenti, non toccati, non implicati quando puntiamo il dito sull’altro dicendo: – È colpa tua, con te non gioco più. Come fanno i bambini.
Fino a che punto ci autodifendiamo dallo sguardo interiore, diretto dentro di noi, invece che puntato sempre all’esterno?
Ecco, leggere Jung per me è riflettere sul mio modus vivendi. Sul mio comportamento, sui miei complessi, sulla mia fragilità o fierezza. È leggere una persona profondamente morale che ragiona sull’etica in modo estremamente flessibile e non dogmatico. In questo mondo dove molti ritengono di avere già la verità in tasca, è già un bella differenza.
Il brano è stralciato da: Opere – 16 – Bollati Boringhieri.
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