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Linguaggio del corpo

Io posso fare tutto con il mio linguaggio, ma non con il mio corpo. Ciò che riesco a nascondere con il mio linguaggio, il mio corpo lo dice.

Posso modellare a mio piacimento il mio messaggio, ma non la mia voce. Qualunque cosa dica, dalla mia voce l’altro si accorgerà che ho qualcosa.

Sono bugiardo ( per preterizione ), ma non so recitare. Il mio corpo è un bambino cocciuto, il mio linguaggio è un adulto molto evoluto”

Da: Frammenti di un discorso amoroso – Roland Barthes

Nel paragrafo precedente, Barthes, enuncia che i segni verbali hanno il compito di tacere, di mascherare, di imbrogliare le cose: io non renderò mai conto verbalmente degli eccessi del mio sentimento.

Sta tutta qui la distanza tra ciò che realmente proviamo e quello che trasmettiamo: verbalmente o con il corpo.

Il corpo dice di più. Narra di più. Dice la verità. Attraverso il tremore rossore sudorazione espressione postura prossemica tensione.

Il corpo dice spesso il contrario di quello che la bocca esprime.

Sono felice, ma i tuoi occhi sono tristi.

Sono forte, ma le tue mani sono angosciate.

Ti sono vicino e soffro con te, ma la prossemica racconta un’altra verità.

Qui – in questo mondo virtuale – passano solo le parole. Il linguaggio verbale. Mi sono sempre chiesta: come reagirei cosa coglierei di Paola, di Giuliana, di Massimo, di Ale, di Neda, di Rodi… di tanti altri che ho il piacere di incontrare qui in questo spazio comunicativo? E loro cosa coglierebbero di Eletta, al di là delle parole che io scrivo?

Una sola volta – in questo decennio di scrittura online – ho scelto di svelarmi come persona, al di là del nickname, sotto cui mi celo.

È stato un buon incontro. Non c’è stata discrepanza dislivello incoerenza distanza tra ciò che sono nella scrittura e ciò che sono nella realtà. E anche il mio amico si è rivelato esattamente come lo pensavo. In questo caso nessuna sorpresa: solo il piacere di conoscersi anche senza schermi a schermare, con i corpi a dire. Una pienezza comunicativa data dalla presenza dei corpi.

Voi avete avuto incontri fuori da qui, con persone conosciute qui? Com’è andata?

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Eravamo quattro amici al bar 

Qui mi piace. Mi piace il clima l’atmosfera il tavolino con le bibite le chiacchiere leggere i tic i vestiti le pettinature; che ciascuno venga con il suo sacco vuoto o pieno con i suoi sandali o scarpe alte; che ogni tanto arriva uno scroscio di risate e ogni tanto un ragionamento più articolato: ma che comunque nessuno si prende troppo sul serio; qui mi piace venire e trovare calore umano condivisione commenti parole e silenzio. 

Sono da poco arrivata in questa piazzetta e, francamente, non so neppure io perché: mi sono seduta e subito ho visto persone che si sedevano accanto a me, un bicchiere e due parole, tre bicchieri e dieci parole, piano piano è scesa la sera e non ci siamo mossi. 

Venivo da un altra piazza dove c’è più silenzio e freddo: ciascuno preso dai fatti suoi non sosta passa e va. Ombre che lasciano segni ma che non amano mescolare le tinte. Ogni colore puro. Nessuna condivisione. Il blu rimane blu il verde vuol essere verde il giallo se ne va acido come sempre per la sua strada. Il rosso squilla come un papavero. Il nero è più chiuso di un tombino e sta sempre giù. Non si creano arcobaleni nè nuove tonalità cromatiche. Non esistono sfumature nè pasticci o scarabocchi. Ogni pagina linda intatta e algida. 

Per questo senza un motivo valido o apparente o logico ho cominciato a cambiare strada fino a trovarmi qui in questa coloratissima piazzetta dove ciascuno mescola senza avarizia il suo personalissimo colore. Capita di scambiarci i vestiti i cappelli le scarpe le sciarpe i foulard le sacche. Capita di toccarsi sorridersi vedersi anche dietro gli schermi in questa nuova piazza dove sono arrivata per caso girovagando e mi sono seduta un po’ smarrita e stralunata fin quando…