La bimba allontana e tira a sé il rocchetto. Impara così – attraverso questa figura fondamentale descritta dalla psicoanalisi freudiana – a sostenere la distanza dalla madre, dal seno materno. Non c’è e c’è.
Ci sono donne che non smettono mai di tirare il filo per verificare se l’altro c’è. Tirano all’estremo il filo per vedere se si spezza o l’altro torna vicino. Allontanano e riprendono. É un gioco elastico e dinamico. Perenne e stancante, sfibrante.
Ci sono uomini che si accorgono della donna solo quando é distante, il rocchetto allontanato.
Quando sono sul punto di perdere la donna, corrono si attivano si svegliano piangono supplicano. Quando hanno la presenza costante, acquietante, quotidiana si dimenticano: la ignorano, non hanno cura, attenzione, garbo.
Giochi antichi di seduzione e separazione in atto da secoli.
Ti accorgi di qualcosa quando manca: salute, cibo, sole, denaro, serenità.
Ti accorgi di una donna quando ti tradisce, quando parte, quando ti lascia.
Peccato, vero peccato, che nel tempo della vicinanza non c’è stato un complimento, un invito, un abbraccio, una sorpresa. Peccato che sei stato distratto. Peccato che hai sbadigliato quando ti ha detto spiegato chiesto. Peccato che le hai dato la schiena, le hai negato il tempo, un’attenzione, un sorriso.
“Freud osserva il gioco del nipotino Hernst ( il gioco del rocchetto ), e arriva a formulare ulteriori riflessioni sul gioco come strumento trasformativo e quindi evolutivo per il bambino.
Il bambino teneva un rocchetto legato ad un filo, lo gettava oltre la spalliera del lettino fino a farlo sparire, per poi ritiralo a sé esultando.
Il rocchetto, secondo Freud , mostra la possibilità per il bambino di riparazione, e quindi di trasformare un’esperienza dolorosa e frustrante ( come l’assenza della madre ), in un’esperienza controllabile, che gli permette di reggere la separazione e la solitudine”.
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