Perché tu non puoi legarmi le mani e mettermi un bavaglio: mi escono dagli occhi le parole, come luminose frecce attraversano l’aria e s’infilzano sul puntaspilli. Perché non ho fili che misurano i miei pensieri, non ho tracciati di emozioni e di segrete verità. Come tu non hai elettrodi che portano il resoconto su un papiro d’Egitto: deposito dei granai.
Perché come gli artisti senza mani, che dipingono con lo strumento in bocca, non ci saranno ostacoli a frenare il desiderio di scrittura, il girovagare delle sinuose lettere che si accavallano a riva frangendosi sulla carne della carta.
Non smetterò di geroglifica/re le note del mio umore.
Perché ci ho messo una vita a rompere le catene e le cavigliere, i braccialetti son stati buttati in acqua: albergano tra i pesci e, l’orologio col pavé, finirà sotto un vulcano. Nella incandescente lava si scioglieranno i diamanti.
Perché non è il dovere che mi muove, il calcolo e l’opportunità. Il bilancino che misura il dare e l’avere col corpo in controluce che cammina oscillando sul bordo tagliente.
Non avrò padroni. Non avrò remore a muovermi agile e leggera nel campo aperto esteso e ampio del possibile. Non tolgo nulla al mio desiderio di te quando parto galoppando sul mio destriero alato. L’immaginare non toglie spazio al reale: lo amplifica all’infinito, invece.
Se ti fa male la luce: metti una benda agli occhi.
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