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Il Canone

Ho ripreso in mano ” Il Canone occidentale” di Harold Bloom per una rilettura.

Sulla prima pagina ho trovato la mia scritta: Dimora a Palazzo – Gagliano del Capo – Lecce. 2011. Quindi dieci anni fa.

Ricordo che non è stata una lettura facile, ma è stata una lettura utile e importante. Proprio sulla non lettura facile si basa uno dei discrimini per capire se un’opera letteraria è da Canone. L’opera non è canonica a meno che non richieda una rilettura.

Scrive Bloom : “A differenza di quanto sostengono certi parigini, il testo esiste non per dare piacere, bensì l’elevato dispiacere o il piacere più difficile che un testo minore non fornirà”.

Naturalmente non è tutto oro colato quello che scrive Bloom ma a me ha fatto riflettere e mi ha permesso di avere un ampio sguardo critico sulla letteratura classica.

Tutto parte dal principio che avendo a disposizione uno spazio temporale limitato, dovuto alla vita, occorre fare una scelta il più possibile oculata nello scegliere cosa leggere e cosa non leggere. Cosa leggere diciamo in 70 anni?

Chi legge deve fare una scelta, poiché non vi è il tempo materiale di leggere tutto, nemmeno se non si fa altro che leggere”.

Una persona, ultimamente, mi ha detto che la lettura di un libro gli aveva profondamente messo in crisi alcune sue convinzioni, facendolo ri-flettere.

Secondo Bloom è questa una funzione che fa di un libro, un libro da Canone.

Shakespeare non ci renderà migliori e non ci renderà peggiori, ma forse ci insegnerà a origliarci quando parliamo con noi stessi. In seguito potrebbe insegnarci ad accettare il cambiamento in noi stessi e negli altri, e forse persino la forma suprema del cambiamento “.

( Immagine grafica di Eletta Senso )

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La folie Baudelaire


Scopro la vita, l’arte e lo spirito di Baudelaire attraverso le parole di Calasso nel bel libro “La folie Baudelaire”.


Per leggere questo libro occorrerebbe avere vicino libri d’arte e di letteratura e una buona enciclopedia. Calasso non è di facile lettura, ma quanto sapere e sapore regala.


Non so quanti libri di Baudelaire ho in casa… ma almeno Fleurs du mal dovrei averlo e sarà bene consultarlo per trovarvi:
“La frase come carica di fluidi elettrici“.

Scrive Calasso: quella stregoneria evocatoria che è lo scrivere dava alle sue parole una capacità di rimanere impresse più di ogni altro scrittore.

Forse perché il carattere peculiare di Baudelaire era la subordinazione della sensibilità alla verità, marchio del genio, dell’arte superiore alla pietà individuale.

Eppure non tutti i suoi versi furono belli, non aveva la capacità della grande composizione come Proust, faceva fatica a far fluire i versi.


Scrisse : Mi sto battendo contro una trentina di versi insufficienti, sgradevoli, mal fatti e mal rimati.

La stessa percezione l’ho già trovata in Borges. Evidentemente i grandi sanno che non sempre ciò che scrivono è perfetto.


Eppure, scrive Calasso, quel fondale stinto, generico anonimo fa risaltare maggiormente altri suoi versi quelli che si imprimono nella memoria senza mai più cancellarsi.

Piacere amaro e fra i più dolci quello di ripetersi un certo verso di Baudelaire al mattino della notte parigina” – Barrès



Baudelaire iniziò a scrivere sotto pseudonimo. (Mi chiedo chi lo farebbe oggi considerato che il massimo dei piacere pare essere per molti vedere stampato il proprio nome e cognome in copertina). Anonimi e pseudonimi i suoi inizi.

A ventiquattro anni tenta il suicidio e, naturalmente scrive una lettera per dare spiegazioni. Certo strane: Perché la fatica di addormentarsi e la fatica di svegliarsi sono insopportabili”.


Calasso commenta questa “rudimentale messa in scena” che sembra mettere Baudelaire sul medesimo piano di un commediante scrivendo:

Scrittore è colui che rivela e si rivela inevitabilmente attraverso la parola scritta.

Bella affermazione e definizione dello scrittore. (Mi piacerebbe appuntarmene altre al riguardo man mano che leggo altri libri).


In questa di Calasso mi piace la parola:
si rivela
cioè toglie il velo: si mostra nella sua sensibilità
mi piace molto l’avverbio:
inevitabilmente
uno scrittore non può evitare di scrivere: è inevitabile che ogni cosa entri nel magma della sua scrittura per poi zampillare all’improvviso un giorno.

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Lingua italiana

Immagine grafica di Eletta

Mi sono sempre piaciuti i programmi televisivi in cui si dà risalto alle parole della nostra bella e difficile lingua.

Ora l’unica che seguo è L’eredità, mi piace rispondere alle domande prima del concorrente e mi piace il gioco in cui occorre scoprire il significato di parole desuete.

Aborro la povertà lessicale e, senza cadere nell’aulico talvolta ridicolo, dove possibile ritengo sia bene usare il termine corretto.

Il nostro personale vocabolario si amplia studiando e leggendo. È proprio leggendo Sciascia che oggi ho trovato questa nuova parola mai udita prima:

*Cacce elisie*

Elisie?

Sono andata subito a cercare il significato…

elisio

[e-lì-sio] o eliso agg., s. (pl.m. -si)

  • agg. lett. Dell’Elisio
  • s.m. (iniziale maiusc.) Nella mitologia greca e romana, giardino di delizie dove dimorano dopo la morte gli uomini che sono stati pari agli dei, detto anche Campi Elisi o Elisi
  • Dal Dizionario del Corriere della Sera

Praticamente giardino degli eletti ed Elette 😍

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Fermo gli schermi

Spirali di felce

Quando prendo in mano un libro chiudo gli schermi. Nessuna TV, lo smartphone messo a riposo con il silenzioso, nessun IPad o PC.

Prendere in mano un libro significa dedicarsi soltanto alla lettura. Anima e corpo. Le mani che lo tengono aperto, la carta che fruscia, le dita che segnano, gli occhi che leggono, la mente che decifra…

Per questo non amerò mai gli e-book.

” Oggi il libro è qualcosa che vive sui margini – e quasi di riflesso – rispetto a un magma in perpetuo mutamento, che si manifesta sugli schermi.

(…) Occorrerà tempo perché si cominci a capire che cosa ha comportato, nell’apparato della conoscenza, questo slittamento dalla pagina allo schermo”.

Da: Come ordinare una biblioteca – Roberto Calasso

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Lapalissiano

A volte le cose stanno lì: così evidenti e non ce ne rendiamo conto finché qualcuno non ce le fa notare.

È così per quello che riguarda il vero lettore. L’ho capito leggendo questo passo del libro:

“Come ordinare una biblioteca” di Roberto Calasso.

” Il lettore vero sta sempre leggendo un libro – o due o tre o dieci – e le novità arrivano come un disturbo – talvolta irritante, talvolta gradito, talvolta anche desiderato – all’interno di quella attività ininterrotta“.

Ecco cosa differenzia chi legge dal lettore vero: quest’ultimo legge sempre. Lapalissiano!

Infatti i veri lettori che ho conosciuto avevano i libri sparsi ovunque, a portata di mano, non solo in sala ma anche sul comodino nella camera da letto o perfino in bagno: compagni di viaggio ininterrotto anche all’interno della casa e non solo a far bella mostra di sé nella libreria. Caso mai dovesse tornar utile come sfondo in un collegamento TV.

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Leggere in questo periodo

Leggere, in questo periodo di emergenza, non è facile. Non sono l’unica a dirlo e ammetterlo. Chissà perché.

In fondo leggere è anche aprirsi a una realtà parallela, è entrare in un’altra storia e stanza, è un po’ vivere un’altra vita ed esperienza.

Sarà forse per questo? Sarà che il virus ci inchioda proprio qui e non ci permette fughe? Sarà che la nostra mente è totalmente immersa nei dubbi e nelle ansie di questa incredibile situazione più surreale dell’invenzione letteraria?

Sarà che ogni giorno siamo inchiodati alle news e ai numeri? Perché da essi dipendono le future possibilità e movimenti. Non vedo mia madre e mia figlia da mesi. E con me molte moltissime altre persone che abitano in regioni diverse dai propri cari.

Quando sono in sala guardo le innumerevoli pile di libri. Ormai ordinate dal riordino e dalla metodica pulizia del tempo da corona virus. Nulla mi muove. Basterebbe allungare una mano e cercarne uno mai letto, o forse letto e già dimenticato.

L’ho fatto solo per nausea: seguire le solite trite e ritrite interviste e sopralluoghi per gli assembramenti mi dà nausea.

Ho ripreso in mano Berta Isla di Javier Marìas. Un libro noioso sul tema dell’assenza. Peccato: nei libri precedenti di questo autore mi era piaciuta la trama e lo stile.

In questo tomo tutto è troppo lungo, ripetuto, meticolosamente ribadito. Comunque mi sono fatta forza e l’ho terminato. Lì da dove lo avevo lasciato. Qualcosa rimane comunque anche di un libro che non scorre.

Anche soltanto il senso o non senso di una vita passata nell’attesa di chi si sa, o non si sa, che tornerà. O non tornerà mai più. La sospensione che poi è il mood di questo periodo.

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Mi fa bene la testa

Ci sono persone a cui fa male la testa: soffrono spesso di emicrania. Avevo un’amica che soffriva di emicranie così forti da andare al Pronto Soccorso. Mal di testa invalidanti.

Per fortuna non ne soffro. Non prendo pastiglie e non sto al buio per far passare la cefalea.

Interessante il passaggio nel libro che sto leggendo: La forza di essere migliori, in cui viene ribaltata l’espressione e il senso del malessere.

” Cosa vuol dire vivere da esseri umani? Ci siamo denominati sapiens, termine che rimanda al verbo latino sapio, sapere che significa sapere e anche avere sapore. Denominandoci così, abbiamo voluto affermare che la peculiarità che ci distingue come esseri umani è la cultura, la quale è possibile grazie al pensiero prodotto dal cervello che abbiamo nella testa. Ci fa bene la testa“.

Ci sono persone che ogni giorno pensano, con il cervello che hanno in testa, a cosa mangiare a pranzo e cena. Così alimentano il corpo.  Le stesse persone però non pensano mai come alimentare il cervello. Non leggono o leggono poco. Non pensano al bene della testa.

Leggere fa bene alla testa.

https://libreriamo.it/libri/ecco-sei-buoni-motivi-per-cui-leggere-fa-bene-2/

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JOYCE

Immagine fotografica di Eletta

Una delle trasmissioni televisive che mi piace seguire è “L’eredità” su Rai Uno. Mi piace perché il fulcro del telequiz sono le parole. Parole da abbinare in modo logico nel gioco finale “La ghigliottina” e parole di cui sapere o trovare il significato in altri giochi, il tutto condito da interessanti nozioni e informazioni di cultura generale.

Ieri sera una delle domande verteva su: Un romanzo che è stato censurato negli anni venti. Tra le varie opzioni il concorrente, un ragazzo di diciannove anni, ha scelto Ulisse, argomentando la sua scelta con il fatto che ricordava lo scandalo suscitato dal linguaggio e dal tema del romanzo di Joyce.

Io avevo capito la risposta: l’Ulisse di Joyce rimane ad ora il libro che più ho amato e che più mi ha divertito. Non a caso il mio sito riporta nella presentazione una frase di Joyce.

Sono però rimasta colpita dal fatto che un ragazzo così giovane lo conoscesse. Ci sono persone ben più mature che non lo hanno mai letto e che, pur leggendo e magari scrivendo, lo ignorano: pur essendo una pietra miliare della letteratura moderna.

Questa opera va letta per il flusso narrativo: il racconto si svolge attraverso il monologo interiore che descrive il flusso di coscienza, per l’utilizzo del linguaggio, per il sovvertimento di qualsiasi regola sintattica. Soprattutto va letto per chi scrive e aspira alla pubblicazione. Impossibile ignorarlo, non conoscerlo.

Dello stesso Joyce sto leggendo: “Gente di Dublino”. Racconti ben scritti, ma che non presentano ancora il salto anarchico del linguaggio.

Naturalmente c’è chi preferisce la scrittura pulita ordinata regolata dalle regole solite dello scrivere. Soggetto predicato e complemento. I punti al punto giusto e le virgolette.

C’è chi preferisce l’arte classica a certi scarabocchi di Mirò o a certi sovvertimenti del ritratto del cubista Picasso o a certe colate dell’arte action painting di Pollock.

A mio parere, tempo permettendo, è bene conoscere Dante e Dostoevskij come è bene conoscere Joyce o Borges; è bene conoscere Caravaggio e Tiziano così com’è bene conoscere Kandinskij e Paul Klee.

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La porta

Non è possibile non innamorarsi di Emerenc la “vecchia”, così come la chiama la sua padrona presso cui presta servizio.

Sto parlando del libro: La porta di Magda Szabo. Terzo romanzo dell’ultimo terzetto che ho comprato e che non riesco a lasciare perché è scritto così bene da catturarmi dentro e non lasciarmi uscire. La porta traccia un confine tra il dentro e il fuori. Esattamente come noi e la nostra facciata che spesso chiude al nostro interno. Non sempre apriamo la porta. Spesso solo noi sappiamo cosa celiamo dentro.

In genere sono ospitale. Qui, in montagna, lascio la porta aperta. Vivo da sola eppure qui non ho paura di nessuno. E sono lieta se qualcuno varca la soglia e si siede sul mio ampio divano arancione a raccontare la vita.

Il personaggio raccontato dalla scrittrice Magda Szabó è davvero un buon personaggio perché è multiforme multistrato non piatto. Un personaggio, quello della domestica, che viene svelato un pezzettino alla volta. Un personaggio che inquieta, fa arrabbiare, intenerire. Pagine memorabili relative agli scontri, alle liti furibonde tra la scrittrice e la vecchia con il fazzoletto in testa.

Un rapporto conflittuale che cela un grande amore tra le due donne.

” Non avevo risposte da darle, anche perché non mi aveva detto niente di nuovo, era lei che non capiva che il nostro era reciproco amore, poteva sferrarmi pugnalate da mettermi in ginocchio. Proprio perché mi amava, e perché io amavo lei. Solo chi mi è vicino può farmi male davvero, questo avrebbe dovuto capirlo da un pezzo, ma lei capiva solo ciò che voleva”.

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Chiacchiera

Ultimamente ho ordinato tre libri. Erano recensiti su Robinson o sulla Lettura, non ricordo. Fatto sta che, per una volta, mi sono fidata e, a quanto sembra, ho fatto bene.

Il primo romanzo : “La panne” è stato godibilissimo. Il secondo che sto leggendo: “Jakob von Gunten di Robert Walser” è altrettanto vorace: in quanto mi mangia.

Spesso ridacchio per l’acuta ironia contenuta nel libro: ironia che, a quanto pare, ultimamente è scomparsa nel mondo attorno a me.

Ero alla ricerca di buoni romanzi per alleggerire tutta la saggistica che riempie i miei tavolini. Ero alla ricerca di buone storie, ben scritte capaci di trasportarmi altrove.

Non conoscevo nessuno dei tre scrittori e, per quanto riguarda i primi due libri, è stata una bella scoperta. Da approfondire.

Scrive Calasso al termine del libro:

L’ironia ininterrotta di Walser – ultima discendenza dai grandi romantici – presuppone la certezza della superfluità della parola. Da ciò il predominio della chiacchiera.

Walser scrive nel segno della chiacchiera labirintica, una difesa di mormorii e arabeschi dalla minaccia del Minotauro, una fattura gettata sul lettore per rendere possibile la scomparsa dell’autore”.

( A gentile richiesta )