Il silenzio é l’arma più efficace per sancire la morte psichica della vittima che viene confinata nella insignificanza
Diventa prigioniera di una assoluta mancanza di desideri ed emozioni
*Tu mi annoi
*Tu non sei nulla
*Io non ti desidero non ti vedo non ti bramo
Non esiste via d’uscita. In quanto ogni tentativo di chiarificazione è destinato a fallire miseramente perché viene accolto dal silenzio
L’ostinazione del narcisista di far finta di niente o nel negare le proteste della vittima non lascia alcuna possibilità di recupero
Alla vittima non resta che rinunciare
Ma siccome la comunicazione è una esigenza vitale per l’uomo senza un interlocutore la vita man mano si spegne
Ho già scritto tempo fa relativamente alla Patologia Narcisistica. Qui viene presa in considerazione una modalità veramente violenta, perché nullificante dell’altro come Persona, che è il silenzio punitivo.
La vittima fa presente alcuni problemi di comportamento per migliorare il rapporto.
Il o la narcisista patologico/a risponde senza rispondere cioè con il silenzio. Innalza il ormai tristemente famoso muro di gomma.
Su questo tema potete trovare veramente molto materiale perché pare che oggi il fenomeno del narcisismo patologico, purtroppo, sia davvero molto diffuso.
Pare incredibile, ma non è facile trovare persone che fanno domande. A parte quelle di rito, ad esempio:
– Come va?
È difficile trovare persone che fanno domande per capire. Ed è forse ancora più difficile trovare persone che amano rispondere a domande dirette. Stiamo sempre in equilibrio instabile sui fili del non detto. Dentro abiti non nostri.
Questione di trasparenza e di disponibilità a farsi attraversare. Per conoscere davvero una persona io faccio domande. Osservo come mi risponde. La difficoltà, la facilità, l’imbarazzo… o il mutismo.
Naturalmente porgo le domande con garbo. Ma le pongo. Quando mi trovo ( trovavo ) in una situazione sociale e conviviale mi piace conversare. Detesto chi sta zitto. Stimolo una leggera conversazione su diversi temi.
Se mi trovo ( trovavo ) in una casa non mia osservo e chiedo: quadri, libri, mobili, tappeti… colori, stile.
Sono sempre stupita, davvero stupita, in modo negativo degli ospiti che in casa mia non chiedono mai niente. Non osano spiare guardare vedere capire indagare. Ho ricevuto più commenti qui, quando vi ho fatto spiare miei piccoli angoli.
Qualcuno dirà: questione di tatto. Per me no. Questione di indifferenza. Un ambiente parla del proprietario. Ho avuto un compagno che veniva nella mia grande sala e non si è mai alzato una sola volta per vedere i dorsi dei libri, o chiedermi dei quadri. Guardava il vuoto muto.
Ricordo una serata, in un’altra bellissima grande sala con le volte settecentesche: io con il mio compagno di allora avevamo amici per un aperitivo. La mia amica, dopo aver fatto conversazione, ha minuziosamente guardato uno per uno tutti i giornali e le riviste internazionali che stavano sotto il tavolino. Poi ha esclamato: – Ottime! Noto che leggete un po’ di tutto.
A me è molto piaciuta. Anche perché non erano riviste da parrucchiere.
Fare domande è interessarsi al mondo dell’altro. Rispondere a domande significa aprire finestre sul nostro mondo.
Chi fa domande di solito è anche un ottimo ascoltatore. Perché fare domande è anche essere pronti ad ascoltare con viva attenzione le risposte.
L’altro giorno chiedevo a una persona se aveva mai avuto l’occasione di seguire un corso di comunicazione. Io lo renderei obbligatorio per tutti.
Saper comunicare, infatti, è la base delle relazioni umane. Significa saper ascoltare e anche saper rispondere. Significa cogliere il senso del messaggio inviato e dopo averlo ben decifrato, saper inviare un nuovo messaggio coerente. Coerente vuol dire in contesto.
Ho partecipato almeno a due corsi di comunicazione, di cui uno intensivo. Eravamo in quindici persone chiuse in un castello. C’erano sessioni in cui si doveva comunicare attraverso i diversi linguaggi: corporeo, pittorico, verbale.
Parlare sotto gli occhi attenti di due psicoterapeuti, all’interno di un gruppo, è davvero un’esperienza molto formativa.
La sera si stava in una delle grandi sale del castello a “vederci” registrati in un filmino. Sembra non importante, ma sarebbe salutare, ogni tanto, vederci con la distanza data dalla nostra immagine impressa su una pellicola. Come se fossimo attori: come mi muovo, il mio corpo, come mi relaziono con gli altri, le emozioni che trapelano…
Ciascun componente del gruppo, al termine della proiezione, poteva dire la sua, liberamente. Senza censure. Naturalmente sempre nel confine del rispetto.
Così, in una situazione di laboratorio, si impara. Si impara ad accettare le critiche, si impara ad ascoltare punti di vista diversi, si impara a intervenire argomentando il proprio punto di vista, si impara che il linguaggio corporeo a volte dice di più di tante parole…
Renderei obbligatorio un corso di questo tipo a tutti quelli che non sanno comunicare. Ai muri di gomma che ti ascoltano con gli occhi vitrei senza mai rispondere. A tutti quelli che non sanno mai rendere conto del proprio comportamento e non sanno mai scusarsi.
Le matasse ingarbugliate di certi rapporti malati possono dipanarsi solo se si è in grado di comunicare. Il silenzio è la tomba dell’amore, mi sembra dica un proverbio. È la tomba anche dell’amicizia.
Una delle regole della Pragmatica della Comunicazione è che non è possibile non comunicare. Tutto è comunicazione.
Ora più che mai, ai livelli alti della comunicazione politica, a quelli quotidiani delle nostre relazioni interpersonali è davvero molto importante saper comunicare in modo corretto – e adeguato al contesto – il nostro pensiero.
Il Premier che durante l’ultima conferenza mentre parla mette la mano sinistra in tasca sta dicendo “altro” oltre al verbale. Una persona che ti ascolta stando in piedi, invece di sedersi accanto a te, comunica anche se sta in silenzio. Ti sta dicendo: Non mi metto sul tuo piano comunicativo, non ho tempo da perdere con te.
Tutto comunica: la postura, la prossemica, la tensione muscolare, l’espressione, le braccia incrociate a protezione, lo sguardo e il silenzio.
Mi auguro che in questo periodo così difficile si amplifichi una corretta chiara e rispettosa comunicazione.
” Dialogo non è una parola tranquilla, anzi non è neppure una parola, ma tensione tra parole. Contiene infatti quel dia che rintracciamo in dia – metro come unione dei massimamente distanti.
Altro che scambio di parole.
Il dia–logo è esasperazione del conflitto, unione di incongruenti, dislocazione dei luoghi”.
Da: Il gioco delle opinioni di Umberto Galimberti
Così come nella citazione, se una persona sapesse cosa significa davvero DIALOGO, non silenzio e piattezza comunicativa, non qualcosa di stantio e noia, ma unione dei massimamente distanti, esasperazione del conflitto… se qualcuno sapesse non accetterebbe forse un campo più aperto e attento quando si mette a dialogare?
C’è chi ha paura del punto di vista diverso.
C’è chi teme il confronto.
C’è chi detiene una posizione arrogante e presuntuosa: non ho bisogno di alcuna spiegazione, mi basta la mia. Non meriti nemmeno che io controbatta.
In questi giorni di estrema emergenza mi piace la garbata conduzione della trasmissione di Mirta Merlino. Il suo saper ascoltare e, nel contempo, la sua voglia di sapere informare capire.
A me, spesso, manca il garbo. Sono talmente mossa dal pathos che spesso mi infervoro nelle discussioni. Però so anche ascoltare.
Sempre: desidero confrontarmi e dialogare.
Non c’è niente di più irritante per me del silenzio, della mancanza di spiegazione, dell’assenza di argomentazione. Il silenzio è in alcuni casi violento. In altri casi indifferenza.
Specialmente in una situazione di conflitto e litigio.
Se mi capita di esagerare sono anche pronta subito a scusarmi. E mi scuso.
Ci sono persone invece, abituate forse ad addestrare i cani, che non si scusano mai ma pretendono che l’animale vada loro incontro scodinzolando comunque.
Un buon dialogo parte dalla contrapposizione dei distanti e dalla loro successiva ricomposizione nel rispetto reciproco.
Perché ci sia rispetto, in caso di errore e perché non perduri l’errore, è bene riconoscere i propri sbagli e scusarsi. Soprattutto in un momento così stressante e difficile, come scrivevo in un post precedente, essere più gentili consapevoli e rispettosi può contribuire al benessere di tutti.
Non sono una credente, ma sto assistendo alla diretta da Piazza San Pietro. Penso che questa immagine e questo momento rimarrà per sempre nella storia futura.
Molto densa e attualizzata in modo sapiente dal Santo Padre la lettura del Vangelo.
– Dunque non ti importa di noi? Quando Cristo dorme in mezzo alla tempesta così gli chiedono i discepoli.
Non c’è ferita più grande che sentire di non essere importanti per qualcuno.
Ecco: anche in un dialogo saper ascoltare e rispondere fa capire che siamo importanti per i nostri interlocutori. Intanto che siamo vivi non comportiamoci come fantasmi. Possiamo dialogare con i mezzi telematici. Ora. Non c’è più il tempo di rinviare a domani quello che si può fare oggi.
In questa epoca di velocità e immediatezza comunicativa via WhatsApp, non ricevere risposte in tempo reale può infastidire. In realtà, come ho scritto diverse volte, abbiamo la facoltà di non essere immediatamente reperibili. Abbiamo la libertà di spegnere le macchine, come le chiamo io. Se siamo impegnati in altro. Se vogliamo ricavarci uno spazio di lettura o relax, senza essere disturbati da squilli inopportuni.
Diverso è per alcuni riti presenti, per esempio, in coppia. Darsi il buongiorno o la buona notte. In quel caso perché fare aspettare l’altro? Un messaggio arriva, si fa sentire con la musichetta che abbiamo scelto. Sentire e digitare una riga di risposta non è così difficile. Farlo subito anche. Perché è come aprire la porta al suono del campanello. A meno di essere nudi o impegnati perché non aprire per vedere chi suona?
Per il rito del saluto di buongiorno o buona notte penso sia semplice cortesia rispondere in tempo reale. Soprattutto se il compagno o la compagna attende la risposta per iniziare la giornata o per coricarsi. Lo stesso vale se la parrucchiera o il dentista mi dice che ha spostato l’appuntamento. Insomma: in certi casi è corretto rispondere subito.
Un tempo c’era il gusto dell’attesa. Niente sms, niente WhatsApp. C’era la telefonata. O tempi precedenti c’era il biglietto, la lettera o la cartolina. Allora si poteva gustare l’attesa. E nell’attesa stare sospesi per la risposta che poteva giungere diversi giorni, se non settimane, dopo. Probabilmente si pensava di più a quello che si voleva comunicare. Il messaggio era più denso, più articolato.
Ora siamo nel duemilaventi. Riuscire a trovare un equilibrio tra la immediatezza della risposta e il contenuto non è sempre facile. Riuscire a trovare un equilibrio tra la nostra benedetta libertà di non dipendere sempre dallo smartphone e la cortesia di una risposta in tempi adeguati: anche in questo caso non è sempre semplice.
Per quanto mi riguarda cerco di essere cortese. Pur non dipendendo dallo smartphone ( cerco di tenerlo in mano il tempo necessario, come ora, e non continuamente ) comunque cerco, se mi è possibile, di rispondere nei tempi dettati da questa epoca rapidamente.
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