Semplicemente sto. Seduta sulla panchina davanti a questa meravigliosa chiesa al sole.
Sull’altra panchina una coppia: lei gli legge il depliant dove viene spiegata la storia. Qui sono stata diversi anni con il mio fidanzato. Passeggiavamo e chiacchieravamo. Era il nostro luogo.
A volte mi chiedo cosa farei se lui arrivasse, così d’improvviso. L’ho perdonato. Perché tutto scorre. Lo guarderei e gli direi: Ciao, come stai?
Tu come stai dopo il nostro amore così grande? Tu come stai dopo tutte le botte che mi hai dato? Dormi la notte o il tuo sonno è disturbato dal ricordo delle tue mani a rompermi le ossa? Hai alla fine pagato tutte le angherie e i turbamenti emozionali per cui un uomo ieri ha avuto una pena minore per avere ammazzato la sua donna?
Turbamenti emozionali, tu le chiamavi catarsi. Come se fosse purificante dare calci e pugni al corpo dell’amata.
Non dovrei essere qui, perché vivo in montagna. In un’altra regione. Ma sono dovuta scendere per una nevralgia che domani vedrà di risolvere il mio dentista.
C’è sempre il mattone con il mio nome. Impresso per sempre. Certi momenti restano per sempre. Indelebili.
Tutto il male ritorna cosi come tutto il bene. Ti ho perdonata. Il nostro attimo di pathos è passato, ma resta inciso nella memoria per sempre.
( Prima volta che ho scritto in diretta sotto il sole e senza vedere bene lo schermo, non pensavo neppure di averlo pubblicato finché non ho letto il commento di Neda. Mi scuso per gli errori che ora ho sistemato. Si vede che così doveva essere ).
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