Riflessioni sulla EMPATIA

Dopo aver condiviso il breve ma intenso filmato a cartoni animati, vorrei ancora riflettere con voi sul termine EMPATIA.

Innanzitutto per empatia si intende la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo le emozioni e i pensieri di un’altra persona.

Cosa significa mettersi nei panni dell’altro? Significa capire comprendere – con il cuore – quello che sta passando l’altro e dare vicinanza, calore, presenza.

Esempio: una vostra amica ha avuto una grave malattia? Le state vicino emotivamente, ascoltando le sue paure e fatiche. Comprendete il periodo che sta vivendo e le telefonate o la vedete più spesso.

La parola deriva dal greco, en-pathos che significa “sentire dentro”.

L’empatico è in grado di:

riconoscere le emozioni degli altri come se fossero le sue

si mette nella realtà assumendo il punto di vista dell’altro ( c’è un detto che recita: prima di giudicare un uomo cammina per tre lune con le sue scarpe ).

La persona dotata di empatia è in grado di captare intuitivamente i pensieri, i sentimenti, le emozioni e il “pathos” cioè le passioni della persona che ha vicino. Sente “a pelle” cosa non va. Non c’è bisogno di chiedere aiuto: l’empatico c’è.

L’empatia è un’importante competenza emotiva: attraverso questa è possibile entrare più facilmente in sintonia con la persona con la quale si interagisce.

Si assume la stessa tonalità emotiva: se uno soffre, soffro con lui. Se uno gioisce, sono felice con lui.

Chi non sa entrare in sintonia, chi banalizza un dolore, la tristezza, la sofferenza… non è empatico.

Ti sei fratturato un polso? La persona non empatica banalizza, non vuole neppure vedere il danno, e dice: – Metti una crema che ti passa. Il giorno della frattura e i successivi non ti sta vicino. Non sa mettersi nei panni dell’altro, non sa camminare con le sue scarpe.

L’empatia è una fondamentale abilità sociale: rappresenta uno strumento base per una comunicazione interpersonale efficace e gratificante”.

Attraverso l’empatia io posso entrare nello stato d’animo di un’altra persona e posso capirla.

Non si tratta solo di afferrare il senso della frase: “sono solo” oppure “ho bisogno di aiuto” o “sto male”: la persona veramente empatica sa afferrare tutto il linguaggio del corpo anche in assenza di parole. Capisce dai gesti, dalla postura, dalle espressioni come sta veramente l’altro.

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione del prossimo, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale”.

Molto importante questa frase finale: escludendo ogni attitudine affettiva personale: simpatia antipatia e ogni giudizio morale.

Ci sono persone che sono apparentemente empatici solo con chi sta loro simpatico.

O, in totale assenza di comprensione e cura verso la persona malata o bisognosa di aiuto, adducono la scusante: è intrattabile. Grazie tante. Se una persona sta male non è certo al settimo cielo dalla gioia. Sarà più nervosa preoccupata stanca. Facile essere vicino a chi sta bene. Più difficile stare vicino a chi ha problemi.

L’empatia è parte del corredo genetico della specie. Noi nasciamo con questo dono. Poi una corretta educazione può favorire lo sviluppo pieno della capacità empatica. Qui il ruolo genitoriale è fondamentale: vedi quella persona quanto soffre? Ha bisogno del nostro aiuto… Cosa possiamo fare per lui?

Nella vita quotidiana l’ empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali.

Ci sono persone continuamente rivolte verso il proprio centro egoico che, anche in situazioni evidenti di difficoltà e bisogna del partner, come bambini lamentosi e queruli continuano a piagnucolare perché non sono accuditi. Non li sfiora nemmeno il pensiero che c’è un tempo per essere accuditi e un tempo per accudire.

Quando il partner si fa male è il momento di smettere di piagnucolare e occuparsi fattivamente dell’altro: cosa posso fare per te? Ti serve una mano a rifare il letto? Ti vado a fare la spesa? Ti porto fuori a pranzo? Ti aiuto a pulire la casa?

Dopo queste riflessioni, come scrivevo a Rain l’altro giorno: purtroppo, pur essendo una dote innata, a me viene il dubbio che sia impossibile addestrare una persona adulta a diventare empatica se non lo è.

Ho voluto approfondire questa tesi e ho saputo che ci sono tre categorie, nella classificazione psichiatrica, che hanno un forte deficit di empatia. Sono le persone che hanno un:

***Disturbo Istrionico di Personalità (DIP)

***Disturbo Antisociale di Personalità (DAP)

***Disturbo Borderline di Personalità (DBP)
“Tale disturbo di personalità è una condizione caratterizzata da pattern a lungo termine di instabilità emotiva, interpersonale e comportamentale”.

In questi casi inutile cercare empatia.

( Alcune parti in corsivo e altre sintetizzate sono state prese da:

Empatia definizione e significato. Empatia in psicologia
https://www.stateofmind.it/tag/empatia/ )

26 pensieri su “Riflessioni sulla EMPATIA

  1. BONJOUR
    Par ce message positif et amical je te souhaite une bonne semaine mon ami(e). Quoi que tu vives, quoi que tu fasses, dans chaque moment il se cache une raison d’être heureux ? MERCI DE TON PASSAGE pour te dire un léger mieux dans ma maladie de LIME Bisous à plu tard

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    1. Gran bel commento. Sarebbe davvero molto interessante approfondire anche per me. È davvero alla base del comportamento l’essere o non essere empatici. Grazie per il complimento, sempre più apprezzato considerato il tema. Buona serata

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  2. Ho parecchia esperienza riguardo l’essere umano. Per quindici anni ho svolto un lavoro che mi ha permesso di osservare da vicino, e a lungo, molte persone di varie nazionalità.
    Confermo che l’empatia è una dote innata, se non lo si è di natura, anche se ci si sforza per riuscire a diventare empatici, si noterà sempre il fastidio che si prova comunque a recitare una parte che non è la propria e non si può recitare a lungo.
    Diciamo, però, che l’essere empatico ha spesso dei risvolti poco piacevoli: per esempio la somatizzazione dell’ansia che si accumula nel condividere le altrui sofferenze, la preoccupazione riguardo i problemi delle persone che li condividono, il sentirsi, a volte, responsabili per parte di ciò che accade anche verso ciò che ci circonda. Questa carica di emotività, se non ben controllata, se non si sa come gestirla, può recare parecchie spiacevoli conseguenze, a lungo andare.
    Che sia per quello che si insegna ai medici e agli infermieri a diventare “distaccati” dai loro pazienti?

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    1. Bellissimo commento e condivisione di una tua esperienza. Per quanto so e penso non è corretto insegnare il “distacco” a medici ed infermieri. Quello con cui hanno a che fare non è solo un corpo o un insieme di organi. È un essere umano e, per quanto mi riguarda, mi cura di più un sorriso e una carezza di chimiche pastiglie. Certo empatizzare può far perdere tempo nella catena industriale ospedaliera. Per quanto riguarda l’ansia è, giustamente, il risvolto della vera empatia. Andare nel mondo dell’altro sofferente significa anche provare com-passione e ansia se ci si sente impotenti.
      Argomento molto esteso quello dell’empatia difficile da chiudere e concludere. Sono partita da un tuo commento su cui ho pensato, poi ho letto, mi sono informata. Grazie a te e a tutti voi che permettete un allargamento dell’ orizzonte. Buona serata ☺

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  3. Il problema, temo, è che questa società non solo non educa all’empatia (cosa, fino a un certo punto, secondo me possibile) ma anzi educa al suo contrario… perchè insegna a non condividere le emozioni, spesso le ridicolizza persino!

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    1. Le emozioni vengono messe in piazza in trasmissioni di dubbio gusto, purtroppo. C’è una inflazione delle emozioni superficiali e vuote maschere per apparire e fare spettacolo e audience. Non c’è un lavoro serio sulle emozioni a livello familiare scolastico educativo in genere e culturale. Piangere fa bene. Ridere fa bene. Dare una carezza fa bene.
      Ciao Rain e buona serata

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        1. Infatti: è il risvolto paradossale della realtà. Si spettacolarizzano le emozioni, ma non si lavora sulle emozioni. Così come c’è una sovraesposizione del corpo nudo ma rimane il tabù del corpo.

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